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NAZIONE NAPOLETANA-DUE SICILIE

Periodico indipendente dei Popoli delle Due Sicilie: NAPOLITANI (Abruzzi - Basilicata - Calabrie - Capitanata - Molise - Provincia di Napoli - Principati - Terra di Bari - Terra di Otranto - Terra di Lavoro) e SICILIANI (Sicilia).


Internet Edition
Numero 2 (marzo 1999)
Numero 1 (gennaio 1999)
Numero 16 (novembre 1998)
Numero 15 (settembre 1998)
Numero 14 (luglio 1998)
English Edition (some articles translated into English)

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Due Sicilie

L'Istituzione ha il fine di assistere per ogni eventuale necessità gli appartenenti ai Popoli delle Due Sicilie che risiedono fuori dai patrii confini e di mantenerne vive le tradizioni storiche e culturali.

A tal fine vengono attuate le seguenti iniziative:

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ORBIS TERRARUM DIVITIAS ACCIPERE NOLO PRO PATRIAE CARITATE
(A tutte le ricchezze del mondo preferisco l'amore per la Patria) - Cornelio Nepote, Epaminonda, IV

Via Caracciolo

Ogni avvenimento, per quanto possa sembrare irrilevante, incide sempre sul corso delle vicende umane, proprio come fanno i cerchi che si allontanano concentrici dal punto d’impatto di un sasso sulla liscia superficie di un laghetto. L’invasione piemontese nel 1860 del pacifico Stato delle Due Sicilie fu ben piú di un sasso e, continuando con il paragone, si può affermare che non rimase neppure l’acqua tranquilla della vita di allora. Noi Napolitani e Siciliani ancora oggi viviamo nell’atmosfera creata da quell’evento, dal quale sono nati tutti i nostri mali presenti. Il Regno delle Due Sicilie proprio nel 1860 si stava trasformando in un grande Stato. C’erano tutte le premesse, perché allora era una tra le piú progredite nazioni d’Europa, ma la delittuosa opera delle sette e la sanguinaria sete di conquista savoiarda ne distrussero i beni e le tradizioni, compiendo un vero e proprio genocidio umano e spirituale. Come fu precisato da Lemkin, che definí per primo il concetto di genocidio, esso "non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione ... esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali ... Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali, e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui ... non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale".

La storia piú che millenaria di Napoli e della Sicilia, fatta da immense glorie e da immani tragedie, prima dell'occupazione piemontese, era stata la storia di popoli che non avevano mai perso, nel bene e nel male, la propria identità. È stata questa perdita, causata dalla forzata unificazione con gli altri popoli della penisola, che mai era stata subita prima di allora con le precedenti invasioni, nemmeno sotto la lunghissima dominazione romana, il piú grave danno inferto ai Popoli Napoletani e Siciliani. I gruppi di potere, che da allora ancora dominano su tutta la penisola italiana, hanno volutamente mistificati gli avvenimenti che causarono la perdita dell’indipendenza dello Stato delle Due Sicilie, proprio con lo scopo di giustificare quella che fu una vera e propria guerra di aggressione e per nascondere tutte le rapine e le nefandezze che le furono inferte. La politica espansionistica piemontese, infatti, aveva bisogno di strumentalizzare ideali e sentimenti umani per nascondere le aggressioni verso gli altri Stati Italiani e fu cosí che venne inventato il "Risorgimento", che è la piú vile menzogna creata nella storia dell’umanità. Ancora oggi tali menzogne sono insegnate ai nostri figli che sono costretti cosí a formare le loro giovani menti in un culto che non solo non è il nostro, ma è stato creato proprio contro di noi. Le popolazioni italiane hanno cosí creduto (e continuano a credere) al "destino nazionale dell'unità d'Italia", tanto che si è generato in esse un atteggiamento passivo e l'abitudine ad essere ingannate, diventando per di piú incapaci di una vera e costruttiva autocritica.

Si dice che vi siano due metodi per cancellare l’identità di un popolo : il primo è quello di distruggere la sua memoria storica ; il secondo è quello di sradicarlo dalla propria terra per mischiarlo con altre etnie. I popoli Napolitani e Siciliani hanno subíto tutti e due i metodi. Ma i Napolitani ed i Siciliani sono popoli con una storia di quasi tremila anni. Anni nei quali le capitali Napoli e Palermo sono rimaste sempre se stesse, fedeli alle loro tradizioni, ed hanno consolidato i propri costumi al di fuori delle vicende storiche in cui sono state coinvolte. Napoli e Palermo, infatti, non sono mai state città longobarde o normanne, angioine o spagnole, né quindi potevano e potranno mai diventare piemontesi o "italiane".

Il Regno delle Due Sicilie, all’atto dell’invasione piemontese, aveva, in rapporto alla sua ricchezza ed al numero degli abitanti, un numero di imposte inferiore a quelle degli altri Stati. I beni demaniali ed ecclesiastici costituivano un’enorme ricchezza, neanche paragonabile a quella degli altri Stati. Il debito pubblico era quattro volte inferiore a quello piemontese e la quantità di moneta circolante in metallo prezioso era complessivamente il doppio di tutta quella appartenente a tutti gli altri Stati italiani messi insieme. La sua produzione industriale ed i suoi commerci erano unanimemente riconosciuti al terzo posto per importanza in Europa. L’emigrazione era del tutto trascurabile. Risultavano occupati nell’industria circa 1.600.000 abitanti e circa 2.700.000 nell’agricoltura. È stata un'enorme menzogna, diffusa ancora oggi, che le Due Sicilie erano uno Stato arretrato rispetto al nord Italia. Questo non era possibile per una sola considerazione: gli Stati preunitari e, per certi versi, ancora feudali del Nord erano troppo piccoli per dar vita ad uno sviluppo industriale consistente, non solo perché non avevano capitali, ma anche perché non avevano un mercato di dimensioni considerevoli come lo era quello delle Due Sicilie, che, inoltre, disponeva di una notevole flotta mercantile che gli permetteva di avere rapporti commerciali con tutto il mondo. L’avidità del capitalismo lombardo-piemontese fu, dunque, il sotterraneo ispiratore dell’impresa allo scopo di acquisire nuovo territorio da sfruttare, nonché per appropriarsi del mare che poteva cosí permettere il commercio con altre nazioni. Solo con la conquista delle Due Sicilie fu possibile costituire "dopo" le industrie del Nord Italia, con il denaro rubato al Sud e con il sacrificio di questo. Il Regno delle Due Sicilie, inoltre, apportò all’unità d’Italia strumenti di progresso tecnico, che furono in seguito soffocati dalla politica industriale voluta dal Piemonte che si appaltò, e continua tuttora ad appaltarsi, commesse e sovvenzioni.

Mai, nella loro storia, le Terre Napoletane e quelle Siciliane avevano subito una cosí atroce invasione e devastazione. Quante ricchezze, inoltre, furono rapinate e distrutte insensatamente, che avrebbero potuto fare veramente una grande l’Italia. L’economia dell’Italia meridionale, poi, ebbe un crollo verticale non solo perché dopo l’unità il suo centro propulsore gravitò solo al Nord, che ne fu privilegiato, ma anche perché la concezione dogmatica del liberoscambismo imposto dal Piemonte, impedí in seguito di porvi dei ripari. Il colonialismo dei piemontesi, come poi si rivelò l’occupazione dei "liberatori", divenne per noi una vera e propria tragedia, che dura ancora ai nostri giorni e che solo il forte temperamento della gente Napolitana e Siciliana ha impedito che divenisse un danno irreversibile.

Proprio quando la Germania iniziava la sua industrializzazione, la borghesia dell’ex Regno delle Due Sicilie, diventato nel 1861 una provincia del nuovo Stato unitario, si precludeva la via dello sviluppo economico. I piemontesi, nuovi padroni dell’ex Reame, infatti, oberati da un pesante passivo di bilancio, dopo aver rapinato le Due Sicilie di ogni bene, ne vendettero anche le terre demaniali conquistate. Queste furono comprate proprio dalla suicida borghesia meridionale (ormai non piú "Napolitana" o "Siciliana"), convinta che solo con il reddito agrario potesse finalmente affermare il suo predominio, già con lungimiranza contrastato dai Borbone, che avevano intuito che con la sola agricoltura non vi poteva essere progresso. Fu cosí, con l’unità d’Italia, che nacque il latifondismo, che portò nell’arretratezza le nostre terre e una disoccupazione endemica.

Fu, infatti, un tragico errore che trasferí circa 600 milioni di lire di allora, quasi tutta la riserva liquida del Reame, nelle casse del Piemonte, finanziando cosí quel sistema capitalistico che ancora oggi ci opprime. In piú spinse alla fame i contadini che non poterono piú usufruire degli usi civici, i quali consentivano a tutti di avere una sicura economia domestica. Questa borghesia esiste ancora oggi ed è formata da gente che della loro Patria, dell’amore per la propria terra, non avverte alcun sentimento, perché tesa unicamente a soddisfare i propri meschini interessi. Le masse contadine, degli operai e degli artigiani, piegate dalla forza, ma non nel morale, non poterono trovare altro sbocco per poter sopravvivere che nell’emigrazione. Calabresi, Abruzzesi, Campani, Lucani, Pugliesi e Siciliani dovettero partire per terre lontane, spesso non sapendo nemmeno quale fosse la loro destinazione finale, verso un mondo del tutto ignoto. In quelle terre lontane e ostili, tuttavia, sono riusciti a far emergere le loro antiche virtú mediterranee, costruendo a volte ricchezze straordinarie, con la loro Patria nel cuore e che i figli dei figli oggi hanno quasi dimenticato, perché sono diventati americani, canadesi, argentini, venezuelani, cileni o australiani.

Anche in questa loro diaspora, piú grande di quella degli ebrei, furono sfruttati dai piemontesi che utilizzarono i loro risparmi, inviati dagli emigrati per aiutare le loro famiglie di origine, risparmi che andarono a finanziare le nascenti industrie del lombardo-piemontese. Tali industrie poi venderanno i loro prodotti al "Sud", ricavandoci altri guadagni, mentre l’ex Reame si andava impoverendo sempre piú, perdendo via via anche i suoi figli migliori, i piú intraprendenti, costretti ad emigrare in tutto il mondo.

Il Regno delle Due Sicilie fu uno Stato unitario per quasi otto secoli di storia e di feconda civiltà, mentre il nord della penisola italiana era sempre stato governato, per lo piú da stranieri, in modo feudale, diviso in tanti staterelli residui del medioevo. Un sovrano di uno staterello ancora feudale, che parlava francese, usurpò la corona del legittimo Re Francesco II, defraudandolo anche di ogni suo bene privato, e s’impossessò di tutte le ricchezze dei popoli Napolitani e Siciliani, dividendo il suo potere con i "galantuomini" traditori meridionali, diventando appunto il "Re dei galantuomini", cioè il re dei traditori. Il devastante genocidio, materiale e morale, compiuto dai Piemontesi trasformò i ricchi territori Napolitani e Siciliani in una terra coloniale di selvaggio sfruttamento, importandovi i germi della delinquenza e spezzando anche l’anima alla sua gente. Gente che fu sfruttata come carne da cannone per le guerre degli ingordi Savoia, come mercato per i prodotti delle industrie del Nord, come serbatoio di voti per quei venduti politici meridionali, vigliacchi traditori della propria Patria, galoppini e servi sciocchi delle lobby lombardo-piemontesi.

Un pesante e vile muro di silenzio è stato eretto attorno alle vere vicende della conquista del Regno delle Due Sicilie ed ai lunghissimi e tragici anni della resistenza meridionale contro gli invasori piemontesi, facendo sparire ogni documentazione, fatto che da solo prova di che pasta erano fatti i Savoia e i loro complici. In realtà quello che è chiamato "Risorgimento" non è stato altro che un'enorme menzogna per nascondere quella che era una vigliacca guerra di aggressione contro la libera, pacifica e progredita Nazione Napoletana e Siciliana, che con perfidia, per giustificarne l’invasione, fu descritta come arretrata, oppressa dai Borbone, anelante della "libertà piemontese". Da aggiungere, inoltre, che molti scrittori descrissero la situazione dei Territori Napoletani e Siciliani "dopo" che vi era stata la devastazione piemontese, attribuendo all’amministrazione borbonica le pessime condizioni sociali ed economiche in cui erano state ridotte le Due Sicilie. Questa falsificazione della storia, per il fatto che continua ancora oggi ad essere insegnata nelle scuole, è particolarmente spregevole.

La principale causa del crollo della nostra Patria va, senza dubbio, inquadrata nel marciume generato dalla corruzione carbonara. Esso era dovunque: nelle articolazioni statali, nell’esercito, nella magistratura, nell’alto clero (fatta salva gran parte dell’episcopato), nella corte del Re, vera tana di serpenti velenosi. Infatti, addebitare ai piemontesi le colpe del nostro disastro è vero solo in parte e contrasta anche con i documenti dell’epoca. La responsabilità della perdita della nostra indipendenza e della nostra rovina è per intero della classe dirigente napolitana e siciliana che si fece corrompere in ogni senso. Non a caso le bande guerrigliere piú motivate, come quella del sergente Romano, si muovevano per colpire innanzitutto gli ascari delle guardie nazionali. Dopo il 1860 non ci fu un popolo in lotta soltanto contro un esercito aggressore, come nel 1799, ma una guerra civile tra gli strati popolari e la minoranza collaborazionista, tutta proveniente dalle classi alte. I piemontesi hanno vinto non perché sono calati in centomila, ma perché si erano precedentemente assicurati, attraverso l’azione sovversiva della carboneria, l’adesione dei "galantuomini" del Sud, i veri criminali. Se non avessero avuto questo consenso fondamentale, mai e poi mai avrebbero vinto, o meglio, mai si sarebbero azzardati ad attaccarci. Se un popolo, infatti, insieme alla sua classe dirigente (o almeno con una parte consistente di essa) ha veramente voglia di resistere, non c’è repressione che tenga, anche se la vittoria piemontese sul campo era stata ottenuta soprattutto grazie ad una schiacciante superiorità di mezzi materiali e ad un’ottima organizzazione bellica.

All’eliminazione della "classe dirigente borbonica" contribuí, purtroppo, lo stesso Francesco II, che, nel concedere la costituzione, corrispose esattamente al piano diabolico dei liberali. Con la promulgazione della costituzione (che Ferdinando II aveva espressamente raccomandato al figlio di non concedere) furono eliminati legalmente i funzionari fedeli e soprattutto fu paralizzato il popolo attraverso il disarmo legale della Guardia Urbana, milizia popolare in stragrande maggioranza fedele al Re. Nonostante lo sfaldamento del nostro esercito, la partita poteva ancora essere vinta, o quanto meno si poteva veramente colpire con efficacia l’aggressore piemontese, ma la concessione reale della costituzione (nell’illusione di avere favorevoli i liberali, decisi, invece, a svendere la propria terra allo straniero) chiuse i giochi ancora prima di iniziare la partita. Attraverso di essa, infatti, quella parte della borghesia traditrice, proprio in nome di Francesco II, si impadroní di tutte le leve del potere, disarmando il popolo e armando, attraverso la ricostituita Guardia Nazionale, i rampolli delle classi alte. A quel punto, regnando ancora nominalmente Francesco II, la magistratura, le autorità municipali e le forze di polizia finirono saldamente in mano al nemico. Il popolo si ritrovò completamente abbandonato e soprattutto senza possibilità di comunicazione con la "classe dirigente borbonica" legalmente allontanata da ogni carica istituzionale. Contemporaneamente, primissima operazione delle "autorità", fu quella di allontanare tutti i vescovi dalle loro diocesi, episcopato che, essendo di nomina reale, poteva costituire una serissima e autorevolissima opposizione. È da sottolineare, inoltre, che la resistenza non iniziò quando vennero i piemontesi, come si è visto, ma cominciò da quando fu concessa la costituzione liberale, che anche alcuni vescovi, specie delle Puglie, contrastarono attivamente. Se ben si osserva, da un punto di vista strettamente giuridico, i primissimi moti popolari avevano un carattere "antiborbonico", in quanto andavano contro la costituzione, ovvero contro un corpo di leggi del Regno delle Due Sicilie promulgate su espressa volontà del legittimo Re Francesco II di Borbone. Il popolo, in realtà, aveva compreso immediatamente tutta la malizia dei liberali e si era mosso per contrastarla.

Le atrocità commesse dai piemontesi e dai suoi manutengoli, particolarmente nel periodo del cosiddetto "brigantaggio", possono sembrare mostruose e incredibili, ma in parte, nonostante siano ancora coperte da segreto di Stato, sono documentate negli Atti Parlamentari, in quello che resta delle relazioni della Commissione d’inchiesta sul brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell’epoca e nella varia documentazione custodita negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti. Il fenomeno del brigantaggio è stato analizzato e spiegato con varie tesi, volendo dimostrare da una parte che esso era una specie di esercito sanfedista, sorretto dai reazionari borbonici, ma senza un capo carismatico, come lo era stato il cardinale Fabrizio Ruffo nel 1799, dall’altra che esso era un fenomeno esclusivamente sociale dovuto alle lotte contadine contro i cosiddetti "galantuomini", che avevano usurpato le terre demaniali, sfociando poi nel crimine. In realtà, se qualcosa di vero di queste due tesi può essere considerata una componente di tutto l’insieme, risulta evidente dai fatti che tutto un popolo ha lottato contro un esercito straniero invasore e contro i traditori collaborazionisti per lunghissimi anni. Questo stesso fatto dimostra, da solo, che il "brigantaggio" fu una vera e propria guerra di resistenza, che, insieme al popolo "bascio", combatterono avvocati ed impiegati, operai e studenti, sindaci e magistrati. Altrimenti non sarebbe durato cosí a lungo, né si sarebbe avuta cosí tanta violenza da una parte e dall’altra.

Dall’analisi della realtà storica è necessario precisare, inoltre, che della cosiddetta "Unità d’Italia" non se ne era mai sentita l’esigenza tra le restanti popolazioni della penisola italiana. L’idea unitaria, infatti, non ebbe alcun sostegno popolare significativo e fu soltanto un movimento elitario, soprattutto "borghese". Il cosiddetto "ideale" del Risorgimento, propagandato dai settari, era tutt’al piú un’esigenza dei territori del Nord dell’Italia che, oltre ad essere governati ancora in modo feudale, erano ancora occupati da potenze straniere. Il colmo era poi dato dal Piemonte, governato dai Savoia che erano francesi, e che, proprio loro, dicevano di voler "liberare l’Italia dagli stranieri". In realtà ai Savoia non interessava niente della libertà degli Italiani, a loro interessava solo ingrandire i propri possedimenti, sfruttando per i propri interessi gli stessi Italiani, che costrinsero con perversione a combattere tra loro. Che fosse una guerra di conquista, da parte dei Savoia, non v’è alcun dubbio se solo si osserva il modo di governare dei nuovi "padroni", che mirarono unicamente a saccheggiare tutte le ricchezze del Reame, sostenuto dalla borghesia lombardo-piemontese, che in tal modo, ancora oggi, può sfruttare a proprio favore la sua posizione dominante, amministrando i territori conquistati come una colonia.

Uno Stato unitario in Italia, ammesso che si dovesse fare, si poteva costituire in un altro modo. Il Cattaneo già dal 1848 avevano proposto un possibile federalismo. Nel 1859 il Governo delle Due Sicilie, con le dovute correzioni, aveva proposto al governo piemontese una soluzione federale, ma ai piemontesi non interessava per niente rendere unita l’Italia. Ai Savoia, con alle spalle un pauroso debito contratto con Inghilterra e Francia, interessava solo ingrandire i propri domini e rapinare il prospero e ricco regno delle Due Sicilie.

È da ricordare, opportunamente, che dopo la battaglia di Sadowa (1866) contro gli Austriaci, i Prussiani si fecero promotori della Confederazione degli Stati tedeschi del Nord con a capo il Re di Prussia, lasciando agli Stati confederati l’autonomia piú completa, che esiste ancora oggi. Dopo la battaglia di Sedan del 1870 contro i Francesi, si aggregarono alla confederazione anche gli Stati del Sud spontaneamente. Nel processo di unificazione della Germania, non corse nemmeno una goccia di sangue tedesco, né un solo tedesco si ribellò a tale unione.

Noi siamo Napolitani.

Noi siamo Siciliani.

Noi, in tutta la nostra lunghissima storia, non abbiamo mai fatta una guerra di aggressione contro altre genti. Abbiamo, invece, sempre dovuto difenderci dalle aggressioni degli altri popoli, che ci hanno assalito con le armi o con le menzogne. Ancora adesso dal Nord dell'Italia continuano ad aggredirci con violenze verbali, con le menzogne su di noi, con una subdola politica di colonizzazione economica e morale, aiutati in questo proprio da quei traditori, che mai nulla hanno fatto per la propria Patria, ma tutto criticano del Sud, sfruttando però sempre la loro posizione parassitaria. Una considerazione, questa, di facile verifica: basta osservare come tutti i governi che si sono avvicendati in Italia dall’inizio dell’occupazione, pur definendosi governi "italiani", hanno sempre avuto cura dei soli interessi di quell’area nota come il "triangolo industriale" (Piemonte, Liguria, Lombardia).

Ma la Storia, prima o poi, finisce sempre per vendicarsi contro chi le ha usato violenza e noi Napolitani e Siciliani sappiamo che la nostra identità è viscerale e che, anche se su di essa si è abbattuta un cataclisma piú devastante di tutte le eruzioni fatte dal Vesuvio e dall'Etna, prima o poi passerà "sta nuttata".

Giuseppe Marotta, nel suo libro L'Oro di Napoli, scrisse: " ... La possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta; una remota ereditaria, intelligente, superiore pazienza. Arrotoliamo i secoli, i millenni, e forse ne troveremo l'origine nelle convulsioni del suolo, negli sbuffi di mortifero vapore che erompevano improvvisi, nelle onde che scavalcavano le colline, in tutti i pericoli che qui insidiavano la vita umana; è l'oro di Napoli questa pazienza."

Ai Napolitani ed ai Siciliani rimanga sempre vivo l’orgoglio di appartenere a un grande Popolo e non ne sbiadisca nel tempo la memoria, né la speranza.

Antonio Pagano




Ultimo aggiornamento: 19 novembre 1998, giovedí