I tagli all’Università e molti aspetti del DdL Gelmini mettono a rischio il futuro del paese perché la spesa Italiana per la formazione universitaria è già drammaticamente più bassa che negli altri paesi sviluppati. Forniamo alcuni dati. L’Italia è una delle nazioni con il piú alto rapporto studenti/docenti (“ratio of students to teaching staff”):
Su 29 nazioni considerate dall’OCSE, solamente Cile, Turchia e Slovenia hanno un rapporto studenti/docenti maggiore dell’Italia ["Education at a Glance 2010" - OECD Indicators, Tabella D2.2, pag. 387].
E’ bene ricordare che il conteggio degli studenti universitari italiani è stato oggetto di una controversia originata dalla correzione introdotta da Francesco Perotti nel suo libro L’Università Truccata (Einaudi, 2008): per tener conto degli studenti fuori corso, Perotti moltiplica il dato OCSE per un fattore 0.483, relativo all’anno 2003, che dovrebbe convertire gli studenti iscritti in studenti equivalenti a tempo pieno. Come fonte per il fattore moltiplicativo, Perotti indica il MIUR, ma senza fornire un riferimento verificabile. Senza entrare in ulteriori dettagli basti osservare che la correzione ad-hoc dei dati OCSE, effettuata su una sola nazione, oltre che essere discutibile, rende improponibile i confronti con le altre nazioni e con la media OCSE.
In ogni caso, esiste un indicatore che è insensibile alla percentuale di fuori corso: si tratta della spesa per studente, calcolata cumulativamente nel corso della sua carriera. Infatti, come precisato dall’OCSE:
“Austria and Italy: No distinction is made between part-time and full-time studies at the university level. However, for expenditure over the duration of studies the effect balances out, since reporting part-time students as full-time students leads both to an underestimate of annual expenditure and to an overestimate of the duration of studies.”
In quanto a spesa cumulativa per studente, l’Italia si colloca al sedicesimo posto su 24 nazioni considerate [Education at a Glance 2010 - OECD Indicators, Tabella B1.3b, pag. 205].
Infine, anche a livello aggregato, la spesa Italiana per la formazione universitaria è una delle più basse tra i paesi OCSE. Infatti, la spesa per formazione universitaria, calcolata in percentuale sul PIL, vede l’Italia al penultimo posto (a pari merito con altre due nazioni) su 33 nazioni considerate [Education at a Glance 2010 - OECD Indicators, Tabella B2.2, pag. 218].
Se operiamo un confronto con altre nazioni, l’affermazione che in Italia ci siano troppi corsi di studio si rivela quanto meno discutibile. Numero di corsi di studio per milione di abitanti:
Anche l’affermazione che in Italia ci siano troppe Università si rivela quanto meno discutibile. Numero di Università e altri istituti terziari per milione di abitanti:
Se consideriamo la percentuale di popolazione tra i 25 e 34 anni che ha conseguito una formazione universitaria, l’Italia si colloca al trentesimo posto su 36 nazioni considerate. Dietro di noi solo: Messico, Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Turchia, Brasile ["Education at a Glance 2010" - OECD Indicators, Chart A1.1, pag. 26].
Gli opinionisti che parlano di “università quasi gratuita” (si veda, ad esempo, questo articolo del Prof. Giavazzi) sono contraddetti dall’OCSE:
“Among the EU19 countries for which data are available, only Italy, the Netherlands, Portugal and the United Kingdom have annual tuition fees that represent more than USD 1100 per full-time student.” [Education at a Glance 2010 - OECD Indicators, pag. 244].
Scendendo nel dettaglio, nel 2006/07, tra 14 nazioni considerate, L’Italia si colloca sesta come tasse universitarie, ma ultima come percentuale di studenti beneficiari di contributi per diritto allo studio (borse o prestiti) [Education at a Glance 2010 - OECD Indicators, Chart B5.3, pag. 252].
Dall’esame dei numeri appare chiara l’urgenza di un piano di investimento nella formazione universitaria. Al contrario, sotto il pretesto del recupero di efficienza, vengono perseguite politiche il cui effetto principale è comprimere ulteriormente la spesa per le università statali anche a costo di ridurre il numero di laureati, già molto basso. Sono politiche incompatibili con un modello di sviluppo che miri a promuovere la competitività delle imprese nei settori tecnologicamente avanzati e la creazione di posti di lavoro qualificati. Non meno importante del mancato investimento nella formazione tecnica, scientifica ed economica, è la rinuncia alla difesa e alla promozione dell’arte e della cultura, elementi imprescindibili per il progresso morale del paese e la difesa del suo patrimonio artistico.