Mino Errico
Il mito del sud arretrato nasce durante il 'brigantaggio'. La 'questione meridionale' (intesa come arretratezza, come assenza dello sviluppo capitalistico...) doveva servire all'inizio come giustificazione delle feroci repressioni operate dai piemontesi (le forze militari impiegate raggiunsero la cifra di 250 mila uomini!) spostando dal piano politico-militare su quello socio-economico attenzione degli europei che rimanevano scossi dalle notizie che giungevano dall'ex Regno delle due Sicilie. All'inizio infatti si parlava solamente della povertà e della miseria in cui giacevano le plebi meridionali (quasi che quelle del Nord nuotassero nell'abbondanza!). Non credo di fare l'apologia dello sviluppo borghese se ricordo che ovunque il capitalismo è nato all'insegna della violenza e della miseria proletarizzando contadini e artigiani. In seguito la 'questione meridionale' diventerà una vera e propria giustificazione dello sviluppo capitalistico post-unitario. La borghesia settentrionale se ne servirà per coprire le proprie responsabilità quale artefice del sottosviluppo del Regno di Napoli. Sottosviluppo che verrà appunto spiegato come arretratezza, assenza dello sviluppo invece che quale prodotto del particolare tipo di sviluppo capitalistico che si ha in Italia tra il 1860 e il 1900. Ritornando ai fatti che si svolge solo nei primi anni di vita 'unitaria' vediamo che la sconfitta della guerriglia contadina segnò definitivamente la consegna del Meridione -senza contropartite- nelle mani del Nord . Passata al suono dei fucili piemontesi la grande paura del brigantaggio la borghesia agraria meridionale si sentí sicura e lasciò il controllo del potere centrale (cioè dello Stato) alla borghesia settentrionale che fu, in questo, avvantaggiata anche dall'aver diretto l'unificazione. Il brigantaggio impedí alla borghesia meridionale di capire in tempo il rischio di lasciare via libera ai conquistatori. E a ciò contribuí anche il liberismo economico a cui essa era interessata per ovvi motivi di carattere economico. L'appoggio ai dominatori fu fatale al Mezzogiorno poiché la borghesia settentrionale, possedendo il controllo dello Stato, riuscí nel giro di un trentennio -1860/1890- a sottosviluppare il Sud (come hanno dimostrato Capecelatro-Carlo). La borghesia industriale meridionale, cresciuta all'ombra del protezionismo borbonico, non riuscirà da sola ad opporsi all'azione dello Stato post-unitario (Stato al servizio della borghesia settentrionale) che provocherà: - il soffocamento dell'industria meridionale mediante la concessione delle commesse al Nord; - la subordinazione del Banco di Napoli, mediante il corso forzoso, alla Banca Nazionale che nuotava in brutte acque; - il drenaggio degli ingenti capitali liquidi esistenti al Sud nel 1860 verso il Nord dove serviranno a finanziare lo sviluppo industriale allora agli inizi; - una forte pressione fiscale in agricoltura che dovrà sborsare ben 70 milioni invece dei 50 che pagava sotto i Borboni...; - la concentrazione del Centro-Nord di quasi tutta spesa pubblica (scuole, strade, opere i bonifica ecc.); - la scelta protezionista del 1887 che, per difendere l'industria ormai situata in prevalenza al Nord, metterà definitivamente in crisi l'economia meridionale che poggiava su prodotti agricoli d'esportazione. E il Sud viene cosí ridotto al ruolo di colonia poiché il salto forzato nel sottosviluppo gli impose il compito di fornire al Nord: - manodopera a basso costo; - capitali attraverso i prelievi fiscali; e i risparmi attraverso i circuiti bancari e le rimesse degli emigrati tramite i depositi postali; - prodotti agricoli da scambiare svantaggiosamente con i manufatti delle industrie settentrionali. Per non parlare dei costi umani e materiali dell'emigrazione che diventerà quasi un altro modo di continuare la lotta dei briganti-contadini, una fuga dall'oppressione e dalla miseria.b) ... e la "via meridionale al socialismo"
Nel secondo dopoguerra i contadini meridionali imboccano di nuovo la strada della lotta attraverso l'occupazione delle terre. Masse enormi di contadini, che la propaganda fascista aveva addormentato, si mettono in movimento: "... la fame di terra ai contadini -scrive uno storico non sospetto- poteva essere imbrigliata in un potente meccanismo rivoluzionario" (Tarrow). La "via italiana al socialismo" portava altrove. .L'occasione perduta non fu colpa o miopia politica del gruppo dirigente comunista ma del movimento operaio nel suo insieme che preferí percorrere la strada della ricostruzione e della solidarietà nazionale invece che quella della conquista rivoluzionaria del potere. E a questo si sarebbe potuto arrivare se invece di bloccare il movimento contadino, di contenere su obiettivi riformisti e perdenti la sua enorme spinta rivoluzionaria si fosse passati alla mobilitazione operaia. A tal proposito il Serafini scrive: "il livello piú alto di insubordinazione proletaria riguardò il Meridione, dove solo la politica decisa dai comunisti riuscí a mantenere le lotte che vi si svilupparono entro il limite oltre il quale si ha l'insurrezione e l'attacco diretto allo stato...". Lo stralcio di riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno costituiranno la risposta della borghesia. In questo mondo centinaia di migliaia di contadini verranno scacciati dalle campagne meridionali e verranno convogliati verso il Nord a fare il "boom industriale", il "miracolo economico"! La gestione del sottosviluppo viene, dalla classe dominante italiana (settentrionale), spartita tra lo Stato e i gruppi mafiosi meridionali mentre sul piano elettorale i Partiti si sostituiscono alle vecchie clientele locali nel controllo dell'elettorato: adoperando i vecchi metodi del clientelismo e dei favoritismi con la differenza che stavolta sono i Partiti governativi ad organizzare e a controllare il consenso popolare... Oggi tanti compagni nel Sud stanno riflettendo su tutti questi avvenimenti e sul ruolo della sinistra nel Mezzogiorno dove imponendo la "via italiana al socialismo" ha oggettivamente condannato il Meridione a rimanere sottosviluppato e migliaia di contadini meridionali a fare da esercito industriale di riserva per il capitalismo centro-europeo e per il capitalismo settentrionale. Per fare uscire il Meridione dal sottosviluppo, per impedire che esso venga usato dalle classi dominanti italiane come meglio gli conviene bisogna trovare nuove vie di lotta e di mobilitazione e soprattutto puntare su obiettivi che servano veramente a risolvere problemi elementari quali la casa e un lavoro per tanti meridionali. Occorre quindi passare dalla fase di studio e di ricerca sulle origini e sulle caratteristiche attuali del sottosviluppo meridionale (e che rischia di ridursi ad un "sequestro" del passato) a quella operativa organizzandoci e collegandoci per imporre i nostri obiettivi. Dobbiamo solo non farci prendere dall'odio e dai risentimenti anti-nordisti (seppur giustificati) e restare lucidi guardando la realtà con occhi scoperti. E' vero che oggi il mondo neocapitalistico è un mondo senza speranza avendo la borghesia esaurite le sue funzioni di classe dominante e non essendoci una classe operaia rivoluzionaria per sostituirla al potere. Però sbagliano i compagni -come Del Carria- quando estendono molto semplicemente tale discorso all'Italia. La situazione italiana infatti, per i motivi storici ed economici accennati prima, è diversa da quella in cui si trovano altre nazioni a capitalismo avanzato come la Germania, gli Usa, l'Inghilterra... Il proletariato italiano nel suo insieme vive una contraddizione storica singolarissima: la divisione del paese in due grosse aree socioeconomiche di cui una (il Sud) è sottosviluppata e l'altra (il Nord) è supersviluppata (al Nord infatti vi è la piú alta concentrazione industriale dell'Europa intera!). E' per questi motivi la classe operaia settentrionale (in parte di origine meridionale e di recente formazione) non è ancora giunta a quel grado di integrazione nel sistema cui sono giunte altre classi operaie quali quella inglese, tedesca, statunitense... Occorre quindi coinvolgere su obiettivi rivoluzionari quei settori non compromessi (non integrati nel sistema) della classe operaia settentrionale: e questo è oggi il compito storico del proletariato meridionale (e del sottoproletariato) se non vuole rimanere per sempre subordinato agli interessi delle componenti piú moderate del movimento operaio organizzato. Componenti che da sempre detengono l'egemonia politica, ideologica e culturale su tutto il proletariato italiano. Ed è soprattutto il proletariato meridionale (e con esso i suoi quadri dirigenti) che vive in uno stato di subordinazione ideologica e culturale rispetto al proletariato settentrionale: il colonialismo economico sociale e culturale tra le due are a diverso sviluppo si riproduce anche all'interno del movimento operaio, privilegiando i settori del movimento che vivono fisicamente nella zona sviluppata e che per questo impongono la propria strategia anche alle componenti meridionali del movimento comunista. Gli strumenti di tale subordinazione sono sempre gli stessi nel Meridione: gli intellettuali (per un'esatta valutazione del ruolo degli meridionali quali mediatori dello sfruttamento economico e della colonizzazione culturale del Mezzogiorno si segnalano le acute pagine dello storico calabrese Nicola Zitara contenute in " Il proletariato esterno" Jaca Book). Un esempio di tale subordinazione ideologica politica e culturale è il recentissimo articolo dello storico meridionalista comunista Rosario Villari " E' ancora attuale il meridionalismo di Gramsci?", pubblicato nel n. 18 di " Rinascita" del 6-5-1977. Qui lo storico ideologico comunista meridionale si sforza di ricucire le lacerazioni che si vanno producendo nel movimento comunista italiano, lacerazioni che potrebbero divenire insanabili soprattutto in quei settori meridionali insoddisfatti per il trattamento riservato al Mezzogiorno nel progetto di riconversione industriale. Progetto non contestato dal PCI Dopo i riferimenti a Gramsci intorno alla " guerra di posizione" -che io condivido- nellesocietà a capitalismo avanzato (e qui vorrei ricordare a Villari che il Sud è un area sottosviluppata) lo storico meridionalistica scrive testualmente: " Malgrado le crisi, i mutamenti, le difficoltà, le sfasature che in certi momenti si sono verificate tra le lotte rivendicative degli operai settentrionali e le esigenze delle masse di disoccupati e di sottoccupati del Mezzogiorno, la conquista e il mantenimento di un legame tra le forze riformatrici che si sono sviluppate all'interno della società industriale (e di cui la classe operaia è componente fondamentale) e quelle che si sono formate e sviluppate nelle regioni meridionali sono stati condizione fondamentale dei progressi realizzati dall'Italia repubblicana ". Quali progressi? Il dramma di sei milioni di persone costrette dalla logica della ricostruzione capitalista a lasciare la propria terra! Questi i progressi! Sembra assurdo eppure gli esponenti comunisti meridionali, in genere, sono i piú attenti e acuti difensori di una linea politica (che oggi si chiama Compromesso Storico) che è, oggettivamente, al servizio della classe operaia settentrionale. Il compromesso storico infatti non è solamente una trovata tattica del PCI per inserirsi nell'area del potere ma è la continuazione di quella linea politica riformista moderata che portò alla sconfitta del movimento contadino meridionale. Sconfitta che le classi subalterno meridionali hanno pagato duramente: sei milioni di emigranti che sono andati a creare, con proprio lavoro, ricchezze e benessere al Nord, nel centro-Europa e altrove. E oggi sono i primi ad essere espulsi dal processo produttivo essendo il sistema operistico in fase di ristrutturazione e di razionalizzazione (sic!). Parlare dunque di identità di interessi tra proletariato di una area industrializzata (il Nord-Italia) e il proletariato di un area sottosviluppata (il Meridione) è una evidente mistificazione. E se è vero, come scrivono i compagni di " Quaderni Calabresi ", che il "punto che unifica politicamente il proletariato del Nord e quello del Sud consiste nel problema di una alternativa al regime democristiano", occorre precisare che mentre al Nord è un problema di gestione del potere quindi al limite rinviabile, al Sud invece è un problema urgente, direi quasi vitale, di sopravvivenza anche fisica per molte persone se si pensa alle centinaia di migliaia di disoccupati che, sottoccupati ecc... che esistono nel Meridione. Nessuno vuole qui mettere sotto accusa le 'buone intenzioni' della classe operaia settentrionale ma occorre chiarire nell'interesse di tutti che non bastano piú le parole d'ordine. Non basta piú mettere la parola Mezzogiorno nell'elenco dei 'problemi' insieme alla 'scuola', alla 'casa', alla 'sanità' ecc... Data la situazione socio-economica del paese diviso in due grosse aree a diverso livello di sviluppo (di cui una continua a svilupparsi e l'altra a sottosvilupparsi) essendo una al livello dei paesi occidentali e l'altra molto simile ai paesi del terzo mondo non può esistere una linea operativa che sia la somma delle esigenze delle due parti. O prevale l'attuale linea politica e cioè il Compromesso Storico, funzionale all'area sviluppata, oppure si cambia strada ponendo il Meridione come il punto focale dello sconto di classe in Italia. E questo è un compito che spetta al proletariato meridionale che deve costringere alcune forze potenzialmente disponibili della classe operaia settentrionale su obiettivi che preparino seriamente la uscita dal sottosviluppo e la liberazione dallo sfruttamento economico e sociale.
Letture utili:
Contro la questione meridionale, Capecelatro-Carlo, Savelli, Roma L'unità d'Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud, M. R. Cutrufelli, Bertani Editore, Verona Il proletariato esterno, Nicola Zitara, Jaca Book, Milano Reggio Calabria rivolta e strumentalizzazione, L. Satriani, Edizioni Qualecultura, Vibo Valentia Stato e sottosviluppo, Bravo Serafini, Feltrinelli Editore, Milano PCI e contadini nel Mezzogiorno, S. G. Tarrow, Einaudi Torino
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