Partiamo dalle parole del giudice Rocco Chinnici che, negli anni 80, durante un intervista affermò: "prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia". Parole, queste, pronunciate da una persona che aveva studiato il fenomeno mafioso e che la sapeva lunga sull?argomento, molto piú di tanti storici che se ne sono occupati.
Ma anche parole pesanti, difficilmente comprensibili per i ben pensanti.
Facciamo adesso un passo indietro di qualche secolo, e precisamente al tempo dei Promessi Sposi. Manzoni nel suo romanzo descrive i personaggi di Don Rodrigo, i Bravi: il Griso e il Nibbio, il conte Attilio e soprattutto l’Innominato, storicamente identificabile in Francesco Bernardino Visconti, ricco feudatario e capo di una squadra di bravacci che commetteva ogni sorta di delitti. Ma i Promessi Sposi, prima ancora di essere la storia di due giovani amanti, è un romanzo storico e come tale ritrae la società del tempo, nella fattispecie quella milanese del 1600, i cui personaggi potrebbero tranquillamente essere accomunati agli attuali boss, picciotti o al potente colluso che per ottenere favori utilizza qualsiasi mezzo.
Tornando ai fatti risorgimentali ormai è nota l’alleanza tra Garibaldi e i picciotti siciliani, l?eccidio di Bronte ne ? l?esempio pi? lampante, e lo stesso ?eroe dei due mondi? scrive nel suo diario: ?E Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta, 11 maggio 1860", ma anche la decisione dei piemontesi di ?istituzionalizzare? la Camorra a Napoli dandogli la gestione dell?ordine pubblico. L?artefice di tale scelleratezza fu il Prefetto Liborio Romano che scrisse a Salvatore de Crescenzo, esponente della camorra: ?redimersi per diventare guardia cittadina, con quanti compagni avesse voluto, col fine di assicurare l?ordine. In cambio, i camorristi irregimentati avrebbero goduto di amnistia incondizionata e stipendio governativo?. Famose poi furono le parole del deputato repubblicano, Napoleone Colajanni, che nel 1900 afferm? al Parlamento: ?Per combattere e distruggere la mafia, ? necessario che il Governo Italiano cessi di essere il re della mafia?.
E il dubbio sorge anche se si cita un altro protagonista indiscusso nella formazione sia dell?Unit? che della Mafia: la Massoneria.
Molti fonti storiche ormai sono concordi col fatto che l?impresa dei ?mille? fu decisa a tavolino dalla massoneria, escludendo la partecipazione del popolo. Il film ?Noi credevamo? di Mario Martone mette proprio in evidenza tale aspetto, mentre, ? accertato da sempre che Mafia e massoneria rappresentano quasi la stessa cosa.
Dunque il dubbio si infittisce e le domande si moltiplicano alquanto.
Per onest? intellettuale non sarebbe corretto far partire la storia della criminalit? organizzata dall?Unit? d?Italia, in quanto gi? esistevano germi di prepotenze e piccole organizzazioni di derivazione feudale.
Forse ci? che non ? accettabile e che la storiografia sta facendo venire a galla ? il fatto che tali germi siano stati innaffiati dal dopo-Unit?, tanto da far nascere l?albero chiamato Mafia.
Se gli statisti di allora non avessero fatto questa scelta immonda, forse la storia del nostro Paese sarebbe stata molto diversa.