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La storia di John Martin da Sala Consilina (SA), Garibaldi, Nievo e le ruberie al Sud

Il trombettiere di Custer

di Paolo Rumiz, La Repubblica 26 agosto 2010
sabato 28 agosto 2010
Per l’ingresso del re a Napoli non vi fu un po’ dell’entusiasmo popolare manifestato per Garibaldi, che scrisse a Vittorio Emanuele: "Il suo governo ? pi? odiato dei Borbone". Giovanni Martino di Sala Consilina suon? la carica a Bezzecca. Poi, divenuto John Martin, and? alla conquista del West. E fu l’unico superstite del Settimo Cavalleggeri

E ORA Napoli, a passo di carica. Con Garibaldi che accelera, precede le truppe, entra in citt? da solo in carrozza tra la folla in delirio. E, poich? siamo sulla strada, ? tempo che vi dica la storia di John Martin, alias Giovanni Martino di Sala Consilina, paese tra Basilicata e Salerno. Il trombettiere John Martin, camicia rossa e poi soldato blu. Me la porto dietro dall’inizio del viaggio, da quando ho incontrato a Perugia la banda garibaldina di Mugnano, capitanata dal novantenne Virgilio Riccieri, generale dei lagunari in pensione. Fu lui a dirmela per primo.

Giovan Crisostomo Martino - ecco l’anagrafe di questo figlio dell’Italia grecanica - ha otto anni quando nella piazza di Sala arriva l’arcangelo biondo in marcia su Napoli. Lo vede e urla come un’aquila che gli vuole parlare. Garibaldi lo sente e dice: "che cosa vuoi da me, ragazzo?". Giovan chiede di partire con lui ma il generale dice: "sei troppo piccolo, non puoi sparare ancora". Risposta: ma no, io voglio solo suonare la tromba. Allora l’uomo col poncho promette: "quando sarai pi? grande verrai con me". E difatti accade. Nel 1866, Martino quattordicenne suona la carica di Bezzecca, unica vittoria italiana della terza guerra d’indipendenza.

Ma ora viene il bello. Con l’unificazione, al Sud la miseria aumenta e Giovan, come altri sei milioni di meridionali, emigra. In quegli anni non c’? paese che non abbia l’ufficio di una qualche compagnia di navigazione, pronta a vendere biglietti. Il biglietto di Martino da Sala Consilina ? per l’America, dove Dio vuole che ci sia un’altra epopea in corso, la conquista del West. L’italiano ci si butta da garibaldino, diventa John Martin e riesce a farsi prendere, sempre come trombettiere, dai mitici cavalleggeri del generale Custer. Ma a Little Big Horn accade che gli indiani circondino i soldati; la situazione ? cos? disperata che Custer ordina a Martin attraversare le linee nemiche e chiamare rinforzi. John riesce nell’impresa, ma quando torna con truppe fresche, Custer e i suoi sono gi? tutti morti e l’ex ragazzino-trombettiere di Garibaldi, Giovan vincitore di Bezzecca, diventa l’unico superstite del Settimo Cavalleggeri in quella storica battaglia. "John Martin, John Martin / sei diventato americano / ma un po’ del cuore / l’hai lasciato ancora qui / a Sala Consilina, Italy" fa una canzone, testo e musica del generale Riccieri.

L’ex camicia rossa diventer? sergente maggiore, sposer? un’americana, avr? cinque figli e un esercito di nipoti. Chiuder? pacificamente la sua carriera facendo il bigliettaio sui tram di New York, dimenticato dalla storia.
Ma pi? forte ? il mito, pi? ? forte l’anti-mito, leggo negli appunti di Mario Isnenghi.

Figurarsi qui a Sud, nel buco nero della disillusione unitarista. Cose tremende si dicono di noi camicie rosse. Per esempio che l’ingresso a Napoli di G. fu gestito dalla camorra (Liborio Romano era e rimase capo della Polizia), in un "patto scellerato" firmato gi? allora. E noi che dovremmo fare, caro compagno-ombra, Cariolato Domenico da Vicenza padrone della mia camicia rossa: far finta di non sentire? No. Sono certo che G. regger? anche a questo. Lui fu movimento, speranza. La delusione arriv? dopo. Per l’ingresso del re a Napoli non vi fu un briciolo dell’entusiasmo popolare manifestato per lui. Ci furono porcherie? Lo sapeva anche Garibaldi. "Il Suo governo - scriver? a Vittorio Emanuele - ? pi? odiato di quello dei Borbone, gli amici suoi sono gente interessata, che prima o poi la tradiranno". Senza paura dunque, andiamo oltre la storia bella di John Martin e rovistiamo altrove. Vi ricordate? Lo storico Nino Buttitta a Palermo ci aveva parlato del naufragio e della morte di Ippolito Nievo, e ci aveva detto che quello era stato "il primo delitto di Stato italiano, un caso Mattei dell’Ottocento". ? per capirne qualcosa di pi? che stasera ci fermiamo a Salerno, davanti ai faraglioni di Amalfi. L? dopo la nave di lui stranamente affond? in una notte di bonaccia.

Palme sul lungomare, sole albicocca dietro Capri. Al caff?, lo storico Roberto Martucci, autore de "L’invenzione dell’Italia unita", racconta. C’erano ladri intorno a Garibaldi, una miriade. Lui faceva la guerra, probabilmente non se ne accorgeva o non aveva tempo di occuparsene. Pur di vincere in fretta, lasci? unirsi a lui strani personaggi dalle facce patibolari e sottovalut? le conseguenze di quelle cattive compagnie. Nievo invece vide, cap?, scrisse i suoi rapporti. Ed ? possibile che la sua nave, che conteneva quei suoi documenti, sia stata fatta saltare in aria da quei ladri infiltrati.

? un fatto: la sconfitta delle Due Sicilie fu segnata da una malversazione planetaria. Pensate, il Regno conteneva, da solo, due terzi dell’intero circolante italiano e Cavour contava su quel denaro per pagare i debiti enormi della guerra di Crimea e della seconda guerra di indipendenza. Invece quei soldi sparirono. Racconta Martucci: "Spar? l’equivalente dell’intera riserva aurea della Banca d’Italia, e il Piemonte rimase all’asciutto. Al punto che per onorare quei debiti ci vollero 55 anni, fino alla vigilia della Grande Guerra". Quanto di pi? potremmo capire del Risorgimento se rinunciassimo alla retorica.

Le camicie rosse ebbero 24 mila effettivi, ma per loro vennero ordinati ben 60 mila cappotti, e di questi oltre met? non arriv? a destinazione o fin? al mercato nero. Ma queste ruberie furono nulla di fronte al Grande Ammanco, l’azzeramento del Banco di Napoli. Chi rub? quel denaro? La mafia e la camorra? Oppure le industrie del Nord per finanziarsi il boom che segu? la conquista del Mezzogiorno? Oppure i ministri di re Franceschiello comprati da Cavour? Forse solo il pignolissimo Nievo - onesto piantagrane che rese la vita impossibile ai suoi vertici - riusc? a fiutare una pista, e forse per questo mor?. Non se ne parla, si dice, per carit? di patria. Ma che senso ha? Non parlarne significa solo regalare argomenti ai detrattori della nazione. E poi tutte le grandi nazioni hanno alle loro spalle storie indicibili. Le hanno, eppure non fanno a pezzi il loro mito fondativo. In fondo, John Martin contribu? a sterminare pellirosse per conto dello stato americano: ma non per questo l’America lo bolla come criminale e si lascia corrodere da una cupio dissolvi lontanamente paragonabile a quella italiana.

Garibaldi uccise, dicono leghisti e neoborbonici. Ma Giulio Cesare cos’era? Uno che distribuiva caramelle? No, il mito della camicia rossa tiene, forse ? l’ultima cosa che ci resta per mantenere unito il Paese. E regge anche la leggenda di Cavour. Martucci giura: "Non abbiamo avuto mai pi? un premier simile. Fu l’unico a ragionare in grande. Per fare l’Italia il piccolo Piemonte mand? in Crimea 15 mila uomini, pi? di tutti i soldati italiani di oggi in missione all’estero. Non le pare che basti?".



Il trombettiere di Custer e la verit? su Little Big Horn
di Raffaele Di Stasio

La vigilia di Natale del 1922, la neve riemp? di sogni l’oscurit? e le strade bianche di Brooklyn chiamarono a raccolta i ricordi. Dietro i vetri Giovanni aspettava con lo sguardo fermo, provando a domare un evento imbizzarritosi tanto tempo fa; arrivano, pensava, mo’ arrivano.... In fondo sapeva che non dovevano essere molti, i ricordi; sarebbero potuti spuntare da un momento all’altro, magari tenendosi sottobraccio come quei tre che stanno attraversando adesso la strada e ridono di nulla, giusto per non morire di freddo. Per?, se cos? fosse, se davvero quei tre sbandati gi? in strada rappresentassero in qualche modo la somma dei suoi ricordi, allora tra poco dovrebbe arrivare anche il pensiero grande, il ricordo vero, quello che non cessa di stringergli il cuore e da pi? di quarant’anni gli porta gente in casa, persone arroganti che gli chiedono sempre la stessa cosa: ?Signor Martini ci dica com’? andata, ci racconti la verit?; coraggio signor Martini, un’ultima volta, poi non la disturberemo pi??.

Giovanni aveva sessantanove anni, era stanco di raccontare la verit?, avrebbe preferito cucirsi la bocca; inoltre, la verit? che gli veniva chiesta non era certo la stessa che sapeva lui, una pietra dura che col tempo era diventata l’unica cosa che c’?. Ma quelli, i giornalisti, insistevano e lui, alla fine, doveva per forza rispondere: ?La verit? la conoscete meglio di me; avete studiato i fatti, avete letto i documenti, avete parlato con gente importante. Io che vi posso dire di pi???.
?Lo sa bene cosa pu? dire, signor Martini; sia gentile, ci faccia questo regalo, visto che domani ? Natale: ci dica la verit??.
?Ricevuto l’ordine sono tornato indietro, ecco la verit??.
?S?, signor Martini, lo sappiamo; ma prima di tornare non vide il comandante dirigere i suoi squadroni verso il guado? Questo ce lo deve dire, signor Martini, questo lei lo sa. E poi, qual era esattamente il messaggio??.
?Me lo scrisse il tenente Cooke sopra un pezzo di carta, l’avete letto mille volte, l’ha letto tutto il mondo quel messaggio?.
?Certo signor Martini, tutti noi abbiamo letto quel pezzo di carta, ma vorremmo sapere le parole esatte del comandante?.

Giovanni sapeva bene dove volevano arrivare, gli cominciavano a tremare le mani quando quelli facevano cos?, avrebbe voluto imbavagliarsi, sparire o prenderli quanti ne erano e sbatterli fuori di casa; ma succedeva sempre, a quel punto, che gli scoppiava in testa la voce secca del comandante: ?Trombettiere!?.
?Le parole esatte, signor Martini?.
?S?, signore!?.
?Tornate indietro, dite al capitano Benteen di correre qua, ditegli che abbiamo trovato un grosso villaggio e che porti altre munizioni, avete capito bene??.
?S?, signore!?.

Ma Giovanni non era mai sicuro di capire bene. Erano solo due anni che stava in America quando successe il fatto e la lingua non la dominava ancora, s’imbrogliava; per? una cosa l’aveva capita: davanti al comandante non bisognava esitare. Prese il messaggio, che il tenente Cooke, conoscendolo, gli aveva trascritto su un foglio, e part? al galoppo.
?In quel momento, signor Martini, mentre si allontanava, non vide il comandante dirigere verso il guado??.
?Forse, ? possibile, non mi ricordo?.
?Dunque secondo lei il comandante diede l’ordine di scendere verso il guado?.
?Lo sa Ges? Cristo se diede quell’ordine. Io mi diressi pi? veloce che potevo verso il capitano Benteen. Poi, sulla strada, arrivato al punto dove gli squadroni si erano separati, vidi che la valle era piena di quei bastardi, urlavano come i cani; per? i nostri, quelli rimasti col maggiore Reno, gliele stavano suonando?.
?Riguardo a questo, signor Martini, al processo non dichiar? di aver avuto l’impressione che la linea del maggiore Reno stesse arretrando??.
?L? non si capiva niente, io spronavo il cavallo e quello correva ventre a terra, per? a un tratto vidi la valle e i nostri che tenevano duro; doveva essere un’accisaglia terribile. E mentre osservo la scena sbucano quattro o cinque di quei bastardi, le pallottole fischiano nelle orecchie e il cavallo prende a correre peggio di prima, non lo potevo tenere. Ma perch? non ve ne andate, lasciatemi in pace?.

?Un’ultima cosa, signor Martini, e ce ne andremo, non la disturberemo pi?: quando raggiunse il capitano Benteen, che cosa gli disse??.
?Consegnai il messaggio?.
?Ma quando il capitano Benteen gli chiese dove si trovava il comandante, lei che cosa rispose??.
Sempre l? andavano a parare, lo costringevano a umiliarsi, a confessare di aver usato parole scorrette, a dire che lui la lingua non la capiva bene: ?Avevamo visto degli indiani, questo risposi?.
?Come disse, signor Martini, che gli indiani si erano imboscati o che si erano nascosti??.
E Giovanni diventava rosso di rabbia: ?Ma che ve ne fotte a voi - urlava con tutta la faccia - . Quelli erano cani bastardi. Nascosti, imboscati, che differenza deve fare? Lasciatemi in pace, non voglio dire pi? niente, uscite da casa mia, uscite?.

Quelli se ne andavano ridendo, dandosi pacche sulle spalle; Giovanni sbatteva la porta e rimaneva immobile a pensare.
Gliel’avrebbe voluto dire al capitano Benteen che gi? nella valle il maggiore Reno sembrava in difficolt?, e che gli indiani verso cui stava dirigendo il comandante forse stavano tutti nell’accampamento, quell’oceano di tende che toccava l’orizzonte. Ma non fece in tempo a dire niente perch? il capitano Benteen gli fece vedere la fortuna con gli occhi, mostrandogli il sangue sul mantello del cavallo: due buchi teneva l’animale, vicino al collo, ancora un minuto e stramazzava a terra. Giovanni non ci poteva credere che il destino si era dato da fare in quel modo per salvare la vita solo a lui. Non fosse stato lui, quel giorno, il trombettiere d’ordinanza, non avrebbe ricevuto l’ordine di tornare indietro col messaggio e sarebbe rimasto a crepare assieme al comandante e a tutti gli altri, perch? quel giorno creparono tutti, fu una cosa mondiale; e se il cavallo fosse stato meno forte o se quei bastardi avessero avuto la mira pi? precisa, manco ci arrivava dal capitano Benteen e il messaggio andava a farsi benedire, diventava niente pure per lui, l’unico cristo che si era salvato, perch? il comandante gli aveva detto di tornare indietro, se questa ? una vita che si deve vivere.
I pensieri smisero all’improvviso. Giovanni s’accorse che dietro i vetri il silenzio aveva irrigidito le strade e il cielo era diventato una lastra di metallo, mentre la stella del mattino scacciava i sogni dalla oscurit?.
Arriva, pens? Giovanni, mo’ arriva.

Il racconto prende spunto dai fatti del Little Big Horn (1876), la battaglia in cui mor? il generale Custer con tutti i suoi uomini, tranne uno: il trombettiere Giovanni Martini, alias John Martin, emigrante italiano nato a Sala Consilina (Sa) nel 1853, arrivato negli Stati Uniti nel 1874 e morto a New York la vigilia di Natale del 1922.


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