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Rifiuti: emergenza senza fine a danno dei cittadini, ma c’? che ci guadagna

"Spazzatour": reportage dall’olocausto bianco dei rifiuti

dal Venerd? di Repubblica del 9 luglio 2010
martedì 13 luglio 2010
Napoli. Sto percorrendo, dopo la cosiddetta Via degli Americani, l’Asse Mediano: una periferia continua, fitta di traffico. Da una parte smisurati cartelloni pubblicitari che non fanno vedere niente, una sopraelevata nel mezzo, e dall’altra incongrue villette e ristoranti per matrimoni con vista su auto e camion. Ho passato la mattina a spiare vertiginose discariche presidiate da militari, e sono diretto ora al settore monumentale dei rifiuti, la distesa di ecoballe che svettano in ci? che resta delle campagne napoletane. Ma ? la normale bruttezza di queste strade senz’anima ora a turbarmi. ? la terra dei fuochi descritta anche da Saviano nell’ultimo spaventoso capitolo di Gomorra. Di notte, qui, si alzano fumi densi e neri, accesi dai ragazzi rom, pagati per incendiare. I pneumatici, che la Campania paradossalmente importa con i camion, servono ad attutire le esplosioni dei solventi chimici.

La mia nuova guida, Pina Elmo, della "Rete campana Salute e ambiente", mi
racconta le lunghe lotte per fermare i Tir carichi di svariati rifiuti:
arresti, pestaggi. L’appuntamento con lei era nello sterminato parcheggio di
una serie di supermercati, una distesa di catrame e cemento a coprire - lo
sanno tutti - strati di rifiuti, quindi ottenere altra terra e materiali di
risulta per coprire altre discariche e cos? via, nel ciclo continuo di
affari della camorra. Del resto lo si impara subito, come un’evidenza:
supermercato e discarica sono l’uno il riflesso dell’altra, si specchiano e
si rivelano a vicenda come una stessa materia, un’unica logica.
Poi svoltiamo a sinistra, e tra i cumuli di rifiuti e detriti sul ciglio
della strada emerge una prostituta nera quasi bambina. Cosa fra le cose,
vita dismessa, come i gruppi di africani che stagnano in attesa di un lavoro
(magari nei campi inquinati di pomodori), immagine di una diversa
prostituzione. Ci siamo. La chiamano anche "l’Ottava meraviglia": sembrano
installazioni, monoliti avvolti da plastiche nere nella campagna verde,
separati da noi da un muretto sottile e una rete. Sono le gigantesche
ecoballe, totem o dolmen che comunicano sgomento. Due chilometri quadrati di
parallelepipedi neri che trattengono materiali tossici, veleni industriali e
rifiuti urbani, di cui solo met? ? sotto sequestro giudiziario. Tutt’intorno
alberi di pesche mature, le pregiate percoche, ignare che il percolato che
impregna ormai la terra raggiunga la loro linfa. Cani che abbaiano,
guardiani in divisa oltre la rete a sorvegliare milioni di tonnellate di
veleni che valgono oro per l’industria fasulla dello smaltimento. Perch?
nessuno, tanto meno la Impregilo, l’onnipresente azienda che domina e
determina ogni politica dei rifiuti, ? ormai in grado di farlo. Il resto di
questa campagna, anche quando non si vede, ? foderato da anni di sversamenti
di rifiuti delle industrie del nord che alimentano i tumori. Gli impianti di
Cdr ("combustibile da rifiuti", ora declassati a "tritarifiuti") confinano
qui con le fragole. Chi non voleva pi? vedere la spazzatura sotto le
finestre di citt? ? stato esaudito dalla bacchetta magica, anzi militare,
del governo. Pazienza che torni loro in altre forme. Nella frutta sul tavolo
della cucina, per esempio. Nelle nanoparticelle diffuse dai fumi densi degli
incendi.

Circa un mese fa la Commissione petizioni del Parlamento europeo (una
socialista olandese, una verde danese, un conservatore tedesco) si rec? a
Napoli a verificare la "soluzione" alla crisi dei rifiuti. Quando Judith
Merkies, capodelegazione, in stivaloni e guanti nella discarica di Terzigno,
estrasse un pneumatico dicendo "questo non dovrebbe essere qui", fu chiaro
anche a loro che la soluzione all’emergenza era un bluff. La visita fu per i
tre deputati uno shock politico e culturale: discariche sorvegliate come
basi dell’esercito, inosservanza delle regole europee sull’impatto
ambientale, assenza di trasparenza e consultazione degli abitanti. E nessuna
strategia, nessuna rete di impianti per il riciclo e il compostaggio, null’altro
che scavare buche, stoccare ecoballe sotto il cielo nella campagna agricola,
gridare all’emergenza per avere mano libera nel militarizzare il territorio.
Quando sono andato anch’io a vedere la discarica di Terzigno, alle falde del
Vesuvio, nel cuore del parco nazionale, era appena stato arrestato un
ragazzo sorpreso a filmare all’ingresso principale. Mi hanno guidato
Mariella Tafuto, Elena Velussi, Anna Fava e Sabina Laddaga, volontarie del
"CoReRi" (Coordinamento regionale rifiuti). La famosa emergenza rifiuti di
Napoli era ed ? "un marketing terroristico", mi dicono mentre ci inoltriamo
in un paesaggio di vigne e oliveti da cui viene la Falanghina del Vesuvio e
il Lacrima Christi. La discarica (gi? cava di pietra lavica) ? segnalata da
stormi di gabbiani che svolazzano. Profonda un’ottantina di metri, ? un cono
rovesciato come l’Inferno di Dante, ma pieno di rifiuti, i dannati della
materia. Passiamo dal retro. Cartelli militari avvertono: Zona di interesse
strategico nazionale. Vietato l’ingresso.

"Gli abitanti non possono accedere ai dati - mi ripetono le guide - n?
sapere cosa viene messo negli impianti. Nessun controllo, anzi una
sospensione dei diritti, e perfino un tribunale speciale per la Campania,
una super-procura che accentra ogni denuncia e inchiesta nel settore
ambientale (Legge 123). Ogni atto che qui avviene in materia di rifiuti ? in
deroga ai diritti costituzionali. Oltre al fatto che le strutture tecniche,
le persone che firmano le ordinanze sono le stesse di sempre, anche quelle
compromesse coi clan. O come Marta De Gennaro, responsabile del settore
sanitario della Protezione civile, arrestata e inquisita nel 2008 col vice
di Bertolaso per avere occultato rifiuti pericolosi, poi promossa a gestire
il terremoto a L’Aquila". Nella gestione governativa dei rifiuti c’?
continuit? con metodi e persone della camorra. "La camorra prima scava una
voragine, ne usa i materiali e vi sversa i rifiuti tossici; la zona viene
sequestrata e il governo vi mette i rifiuti urbani che coprono ogni prova".
(Prima della militarizzazione dei siti, alcune discariche vennero chiuse
grazie alle denunce dei cittadini. Ora tutto ? secretato).

Intorno a noi eucalipti, fiori, limoni, vigne. Dietro il muro grigio e il
reticolato il cratere che diffonde il fetore. Lo osservo arrampicandomi: un
inferno nell’oasi, cosparso di detriti biancastri come i gabbiani, che ruspe
e camion non riescono del tutto a interrare. La Cava Vitiello, l? vicino, ?
stata scelta dal governo come prossima discarica, anche se il signor
Vitiello (come l’Unione Europea) si indigna all’idea. Ma a fianco del campo
da calcio panoramico di sua propriet?, col Vesuvio da una parte e i monti
dietro cui c’? Sorrento dall’altra, una serie di silos che raccolgono
percolato produce un rombo sinistro e costante. In questo parco naturale ai
contadini ? proibito erigere un muretto a secco o una rete per conigli, ma
non silos e discariche.

Abbiamo proseguito il viaggio alla discarica di Chiaiano, gi? paradiso delle
ciliegie, con tanto di sagra. Attraversato un pruneto, ci siamo fermati e
affacciati sul vuoto: un immenso buco in cui strati di amianto triturato
sono stati coperti da tonnellate di nuovi rifiuti. Un’altra discarica
abusiva ufficializzata dal governo, a poca distanza dagli ospedali. Anche
qui volteggiano i gabbiani, portatori d’inquinamento con le loro deiezioni.

Pi? tardi, nel pomeriggio inoltrato, l’ultima tappa di questo "spazzatour" ?
nel casertano, la cui terra riconosciuta come la pi? feconda del pianeta,
vera e propria fabbrica di cibo, ? ridotta quasi a un’immensa discarica. Mi
conduce l’agronomo e ricercatore, gi? combattivo vicesindaco di Caserta,
Giuseppe Messina. Mi parla dell’aumento in Italia della desertizzazione,
dovuta al cattivo uso del suolo. L’anno d’inizio della discesa agli inferi ?
il 1997, da quando per contratto la Fibe-Impregilo (di propriet? della Fiat)
? diventata proprietaria dei rifiuti, esautorando gli Enti locali. Esistono
tecnologie in grado di riciclare completamente i rifiuti, ma se l’imprenditore
? pagato per bruciare, ha un piano solo per bruciare, non per pensare
soluzioni europee, avanzate, che tutelino l’ambiente, l’agricoltura, la
salute. I parametri sono gi? curvati secondo interessi prestabiliti: il
Conai per esempio (Consorzio nazionale imballaggi), che smaltisce
bruciandole il 45% delle plastiche da raccolte differenziate in Italia, e
guadagna sia nella produzione che nello smaltimento, non perora certo una
riduzione degli imballaggi nella merce, ma incoraggia l’usa-e-getta. Come mi
spiegavano Elena e Anna al mattino, "occorre superare la nozione di rifiuto.
Parliamo invece di materia come risorsa, non come rifiuto. Nessuno investir?
sul riciclo finch? sono cos? forti gli altri interessi".

Ci fermiamo quindi nel triangolo della morte, ultimo girone, a poche
centinaia di metri da Casal di Principe: Parco Saurini, S. Tammaro,
Ferrandelle. Ogni rilievo, ogni collina (ce ne sono tante) racchiude una
discarica interrata, su cui crescono cespugli giallastri. Ma ce ne sono
altre speciali, incredibili: montagne incolori, ecoballe di rifiuti senza
neanche la plastica, denudate e impudiche sotto un impietoso cielo azzurro.
Quelle che Bertolaso aveva dichiarato di avere eliminato, che nessun manto
vegetale ricopre. Come se l’esplosione finale al rallentatore di Zabriskie
Point si fosse adagiata e ricomposta in colline compatte, incollando ogni
frammento. Una marmellata biancastra e fetida punteggiata di plastiche
sbiadite. Otto milioni di tonnellate di rifiuti esibiti a pochi metri da
coltivazioni, allevamenti di bufale, vecchi caseifici. Terreni generosi che
valevano anche 200.000 euro all’ettaro, e ora non valgono pi? niente, se non
per chi ne ricaverebbe altre discariche a cielo aperto. A poche centinaia di
metri giacciono impianti per il compostaggio inutilizzati e boicottati.
Anche qui, il solito cartello etichetta le montagne di veleno che chiunque
pu? toccare: Area di Interesse Stategico Nazionale. Divieto di accesso. Ai
piedi del cartello un flacone di Vernel, l’ammorbidente. Mi stordisce l’idea
di qualcuno che ha cura di ammorbidire il bucato ma ? incurante di
avvelenare la terra, cieco a ogni relazione tra i suoi gesti.

Quando pi? tardi percorro a senso inverso la desolata e rumorosa "terra dei
fuochi", la quotidiana abitudine alla bruttezza dove tutto ha inizio, dentro
di me ripercorro il senso di questo reportage: sono i rifiuti la nostra
nuova frontiera del Sacro, indissolubile dal Potere. Se "sacrare" qualcosa o
qualcuno vuol dire separarlo dall’uso comune, dalla vita, noi ci siamo
affacciati sulle discariche con terrore e tremore come su crateri di vulcani
attivi, abbiamo contemplato le ecoballe come temibili fascinosi templi, e
gli altari incolori, disgustosi e ipnotici che rendono alieno ci? che ?
stato nostro, separato per sempre, come la bottiglia di Vernel. Culmine
della nostra alienazione, divinizziamo ci? che di noi non riconosciamo pi?,
ma a cui sacrifichiamo tutto. "? un olocausto bianco", mi aveva detto
Mariella, una delle mie guide, invitandomi qui. Ma ci? che accade da anni in
Campania non ? che un laboratorio di quello che succeder?, e sta anzi gi?
succedendo, nel resto dell’Italia.


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