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Le pretese clericali

Il triplice falsus sulle radici cristiane dell’Europa

di Paolo Boccuccia - dal sito di Luigi Cascioli (luigicascioli.eu)
domenica 16 maggio 2010
Sia da parte clericale cattolica che da parte dei suoi sicofanti politici piú o meno dichiarati, è stata richiesta nei mesi scorsi con petulanza alla Assemblea di Strasburgo, impegnata nella stesura della carta costituzionale dell’Unione, l’inclusione in questo documento di una premessa che riconosca l’esistenza delle "radici ebraico-cristiane dell’Europa".

Ovviamente, con lo slogan proposto non si intendeva per Europa l’aspetto geografico ed economico del continente che si progetta di unire in una vaga comunità di stati autonomi, ma il suo aspetto politico-culturale nel suo sviluppo storico. Quindi secondo un tale punto di vista l’Europa dovrebbe costituire un fenomeno unitario sia in senso orizzontale, ossia nello spazio geografico ("una sola civiltà europea dall’Atlantico agli Urali"), sia in senso verticale, ossia nel tempo storico ("una sola civiltà europea per quindici secoli"). Tale fenomeno può essere visualizzato come un albero con le sue radici (il medio evo), il suo tronco (l’età moderna) ed i suoi rami (l’età contemporanea). E queste "radici" dovrebbero essere costituite dalla visione religiosa ebraico-cristiana dominante nel continente dal V secolo e.v. con la perentoria esclusione della cultura sia grecoromana per l’occidente, che quella germanica e slava per l’oriente?

In questa impostazione ideologica vanno individuati tre falsi concettuali, che rendono la formula proposta uno slogan propagandistico grottescamente pasticciato su posizioni vecchie, che l’Assemblea costituente ha avuto il buon senso di respingere, con gran disappunto dell’asse voitilianfinesco. Tale formula si basava, infatti, su tre tesi ugualmente false:

Primo assunto: l’Europa costituisce da quindici secoli un’area culturale unitaria nello spazio e nel tempo;

Secondo assunto: la sua storia in un tale periodo ha sviluppato un andamento lineare, in cui il passato (radici) ha influenzato e continua ad influenzare il presente (ed il futuro);

Terzo assunto: la religione cristiana, di cui a sua volta l’ebraismo costituisce la radice, rappresenta il nucleo originario delle forme di cultura che si sono manifestate e che continuano a manifestarsi in tale spazio ed in un tale tempo.

Per quel che riguarda la prima asserzione, risulta chiaro a chiunque possieda elementari nozioni storiche, che immaginare una cultura e una storia europea unitaria e coerente costituisce un generalizzare in una astratta ideologia fatti ed eventi particolari e concreti, estrapolati dalla loro contestualità in un preciso spazio ed in un tempo particolare. Parlare di una "civiltà europea" è come parlare di una "civiltà asiatica"; se poi per Europa si intende quella contemporanea, è immediata la percezione di come le sue premesse storiche e culturali fondanti risalgano a tempi molto prossimi a noi: a non piú di due o tre secoli, e non ai quindici (e perché non ai trenta?) preconizzati implicitamente dallo slogan papalino. Solo chi ha un interesse immediato e pressante di proporre una parola d’ordine propagandistica può farsi carico di enunciare con tutta serietà un simile travisamento del reale stato delle cose.

È falso pretendere che su di un continente la cultura abbia assunto in un lungo tempo storico uno sviluppo unitario e coerente, mutando forma ma non contenuto nel corso degli eventi storici. E questo aspetto diacronico della questione ci porta direttamente al secondo falso annidato nell’enunciato sulle "radici ebraico-cristiane dell’Europa"; quello secondo cui la storia ha un andamento lineare, paragonabile allo sviluppo di un organismo vegetale con le sue radici ed il resto che dipende da esse. Una pur immediata riflessione ci induce invece a negare che le forme culturali che si producono nella storia (i rapporti umani nel tempo) discendano da una forma madre prodottasi "all’inizio" "e tale inizio possa essere posto ad arbitrio in qualsiasi data", a negare l’esistenza di un nesso "eterno" tra il passato storico ed il presente che non ecceda tempi storiograficamente brevi, di una specie di continuum diacronico che costituisca l’asse portante della vita dei popoli.

La stessa cultura europea piú matura ha vanificato una tale visione lineare, ad iniziare da Voltaire passando a Nietzsche e pervenendo a Simmel, a Spengler ed a Toynbee. È risultato chiaro a questi pensatori come tutto ciò che è umano, le forme di rapportualità sociale, la cultura, i valori esibiti, si formi nel corso del tempo e muti continuamente nel tempo. Verità, leggi e valori epocali non sono che forme effimere provvisoriamente cristallizzatesi entro il flusso degli eventi (in un’epoca storica), e destinate ad essere soppiantate da diverse (persino opposte) verità, da diversi valori e da diverse leggi. Le civiltà sono destinate a nascere, crescere e morire, sempre delimitate in sé stesse da confini spazio-temporali; nessuna verità o valore o legge può sopravvivere alla civiltà (ed al momento storico) a cui appartiene dopo il crollo di questa. Certo, le successive culture non si presentano meccanicamente divise da precisi eventi e date; il Medio Evo non è finito nell’ottobre del 1492, (dura ancora, e ne fa fede lo slogan di cui ci occupiamo); ogni forma storico-culturale, la vecchia come la nuova, "penetra" dentro l’altra, la prima appunto come trascinamento, la seconda come anticipazione.

La cesura tra tali forme diacroniche prende il nome di rivoluzione, ed in ogni rivoluzione, sia essa scientifica, politica, economica o religiosa, costituisce in ultima analisi una rivoluzione culturale. Un evento che costituisce non un brusco trauma databile, ma un processo di accumulazione prima e di esplosione dopo del nuovo, cosí come in natura le mutazioni genetiche che dànno contenuto al genotipo di una nuova specie non si visualizza poco alla volta in un fenotipo nuovo, in una specie strutturalmente mutata. Ma mentre in natura le forme vecchie scompaiono al prodursi della cladogenesi, nella storia degli uomini le forme culturali vecchie permangono per qualche tempo; come diceva Marx, le idee delle generazioni morte continuano a gravare come un incubo sul cervello delle generazioni viventi.

Rispetto alla diacronia storica Nietzsche, partendo dal concetto basilare che il corso degli eventi umani non va inteso in senso unidirezionale, costruisce la tesi dell’"eterno ritorno", che non ha la funzione di affermare la circolarità degli eventi storici come in Vico, quanto piuttosto quella di negare la linearità e di evidenziarne il continuo "ri-iniziare", spezzando cosí il concetto di continuum storico postulato dalla metafisica giudaico-cristiana. Per il filosofo di Lutzen ogni momento della storia ed ogni fase culturale che con tale momento è in cogente rapporto, ha il suo senso in sé stesso, e nasce non da forme precedenti ma dal gioco delle forze umane che lo hanno determinato. Con una tale critica Nietzsche costruisce una antitesi netta sia alla visione ebraica che a quella cristiana del permanere e del divenire, poiché entrambe le visioni religiose pongono alla base del processo storico la trasducem nel tempo di messaggi validi una volta per tutte, e che si esplicita in forma di tradizione culturale, di un riecheggiare del medesimo "dal principio alla fine".

E poi, dire che una determinata forma culturale costituisca premessa qualificante desunta dal passato e del presente e del futuro, significa concepire la storia proprio nella prospettiva giudaico-cristiana su cui si appoggia, proponendo un dato asserto come obiettiva enunciazione di una realtà determinata; costituendo cosí un assunto autoreferente, una petitio principii che propone apoditticamente una tesi verificata dal suo stesso assunto di partenza. Per converso, si può ben osservare come la storia delle idee e degli istituti umani sia segnata da cesure che autonomizzano ogni loro fase dalla precedente, dotandola di una propria peculiare ed interna logica e struttura e di un proprio senso irriducibile al senso del passato. Tra l’altro la stessa formulazione "radici ebraico-cristiane" mette falsamente in stretto rapporto due ideologie religiose e sociali innegabilmente difformi al di là delle apparenze mitologiche, essendo l’ebraismo una religione (ed una tradizione) tribale, che identifica il fedele come membro ereditario di un dato popolo ("germe di Abramo"), ed il cristianesimo religione universale, che identifica il fedele come membro acquisito della ecclesia.

Che poi le culture storicamente manifestantesi in un dato spazio tempo siano riconducibili nel loro nucleo portante a forme di ideologia religiosa, a visioni e a vissuti ispirati da particolari messaggi religiosi, costituisce il terzo ed ultimo falsus annidato nella formula "radici ebraico-cristiane dell’Europa". Al giorno d’oggi nessuno, a parte i portavoce culturali del potere clericale nega che siano le forme storico-culturali a produrre le forme religiose, e non già queste a produrre le forme culturali. L’affermazione "ciellina" che il cristianesimo non sia cultura ma messaggio che interpella l’uomo, lascia il tempo che trova, dato che non riesce a spiegare se non in termini mistico-religiosi un tale assunto, costituendo un ulteriore petitio principii, nel clima di autoriferimento e di autoreferenza di cui è impregnata tutta la cultura cattolica (ed in generale quella cristiana).

In realtà, le forme di religione costituiscono una sovrastruttura esplicativa delle forme di rapportualità sociale umana, in quanto gli uomini non riuscendo a darsi spiegazione delle forme culturali necessitate entro cui vivono, delle leggi, dei costumi, dei comandi che su di loro hanno potere, fanno scendere queste cose dal cielo; non conoscendo da dove vengano, li fanno derivare dalla volontà degli dèi (o monoteisticamente, da Dio): ci sono quindi Re per grazia di Dio e il contrarre matrimonio significa mettersi in grazia di Dio. La religione comunque non costituisce un semplice epifenomeno rispetto alla cultura, ma appunto una sovrastruttura che permea il nucleo strutturale dei rapporti umani pur restandone un’espressione esterna, la loro "pelle", che nell’immaginario collettivo vicaria il "cuore" di cui l’uomo non ha cognizione.

La realtà strutturale, vera, intima, dei rapporti umani, che sono sempre rapporti sociali, "politici" per natura stessa dell’uomo, riesce difficile ad essere coscientizzata in maniera diffusa, a divenire coscienza di massa. In questo vuoto di comprensione estensiva si situa il trascinamento culturale delle forme vecchie di pensiero e di rapportualità, di cui la religione è al contempo luogo di adunanza e portavoce. È in questo senso che le "radici" di una certa Europa permangono ancora di tipo religioso; come appendici del vecchio mondo anteriore alla "era dei lumi" ed all’evento spartiacque della rivoluzione dell’ ’89. Che, pur nel suo infantilismo propositivo e nella sua astrattezza concettuale resta l’autentica "radice", il vero antenato dell’Europa di oggi, non fosse altro che per essere andata oltre alla forma vecchia, di aver rotto la continuità dell’antica forma culturale e di aver dato inizio alla genesi sofferta, contraddittoria, parziale quanto si vuole, del mondo nuovo di cui noi tutti facciamo parte.

E poi, naturalmente, il fenomeno religioso non consiste solo (e principalmente) in una credenza personale condivisa ("fede"), ma anche (e soprattutto) in una organizzazione del culto gestita da un personale specializzato e professionale (i preti), che piú o meno compiutamente formano un corpus separato (clero) che offre i suoi servizi ai credenti, dichiarando di essere con loro una sola cosa (chiesa = assemblea). In realtà il potere clericale inquadra e gestisce i credenti, cosí come offre il suo appoggio al potere civile, al potere politico-amministrativo a cui fa comodo ricevere una investitura o comunque una legittimazione da parte del potere ecclesiale. Nel caso del cattolicesimo, il centro del potere clericale viene gestito in forma strettamente gerarchica e centralizzata, e la periferia strutturata di organismi ecclesiali che penetrano profondamente nel tessuto della società civile ed ancor oggi per certi versi lo condiziona.

D’altra parte, nella stessa società civile le aggregazioni politiche (partiti) hanno cessato all’oggi di essere organismi strutturati intorno ad una concezione della vita sociale e della conduzione politica, per divenire meri contenitori di interessi specifici e di casta delle loro dirigenze burocratico-parlamentari. Privi ormai di una ideologia e di un programma, questi enormi carrozzoni che si contendono le fette di torta offerte dalla gestione degli affari pubblici, trovano naturale allearsi alla dirigenza burocratico-clericale che gravita attorno ai vertici vaticani. La gara per accaparrarsi il favore di questi ultimi da parte dei primi, al fine di convogliare sulle proprie liste il voto dell’elettorato cattolico o paracattolico, determina prese di posizioni politico-parlamentare altrimenti inspiegabili, e finisce per condizionare non solo l’azione di un governo e di partiti sedicenti di destra, come attualmente, ma, pur se in modo piú blando e problematico, quella di governi e partiti sedicenti di sinistra, come quello precedente all’attuale.

In questa ottica come potersi dichiarare sorpresi dalla posizione di G. Fini sulle "radici cristiane" dell’Europa? In piú il signore in parola ha integrato nello slogan vaticano la dizione "ebraico-cristiane" (che è stata subito fatta propria dalla dirigenza d’oltretevere) riuscendo cosí a coniugare in una sola breve formula l’ossequio strumentale a due centri di potere: l’uno ideologico e politico, l’altro economico. Ovviamente, una tale presa di posizione è inserita in un contesto articolato di deriva opportunistica con grossolane finalità di baratto, in cui sembra ormai consistere non solo la strategia politica di A.N. e/o di F.I., ma la dottrina stessa dell’azione politica a tutti i livelli, sia nella coalizione di governo che in quella sedicente di opposizione. La nota lieta in un quadro cosí rivoltante è costituita dal fatto che la società civile va sempre piú allontanandosi psicologicamente e fattualmente e dagli apparati e dai modelli di vita e di impegno civile e sociale delle burocrazie clericali e partitiche, che in tal modo finiscono per assumere nel quadro della società e della storia l’aspetto miserando di contenitori vuoti e di freni arrugginiti della vita comunitaria.


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