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F.I.D.M.
FEDER-MEDITERRANEO
O
rganizzazione indipendente non governativa
Membro della Task Force ONG Nature del Consiglio d'Europa

Ufficio per l'Italia: fidm@ics-vdc.it


SUD AL BIVIO: «QUESTO» FEDERALISMO LO SOFFOCHERÀ

di Franco Nocella
Segretario della Feder-Mediterraneo

Le amministrazioni comunali del Sud, confuse piú che aiutate dall'Unione Europea, si stanno presentando, spesso, in maniera improvvisata e contraddittoria all'appuntamento con il piano di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006, in forza del quale dovranno essere spesi, nell'arco di 7 anni, i 92.000 miliardi di cofinanziamento comunitario, messi a disposizione da Bruxelles e da Roma, per attuare nelle regioni meridionali la tanto sbandierata "coesione economica e sociale" tra il Mezzogiorno italiano e le altre regioni europee.

Intanto, il presidente della Confindustria, Antonio D'Amato, napoletano, ha ribadito ciò che tutti avrebbero dovuto già sapere: questo è l'ultimo treno. Con l'apertura a Est, il Sud non sarà piú una priorità. Perciò, i problemi vanno risolti subito. Ha detto la pura verità. Ma, non è tutta la verità. A questa sacrosanta osservazione, infatti, ne va aggiunta un'altra, non meno importante: i superburocrati dell'Unione Europea, che rappresentano i "poteri forti" di una Europa carolingia che parla, sopratutto, tedesco, contano sul fatto che il Mezzogiorno italiano non riesca a utilizzare i fondi destinati allo sviluppo locale, per poterli dirottare subito verso i paesi orientali, mercato privilegiato della Germania.

Di fronte a questo dato di fatto, le regioni meridionali dell'Italia devono combattere contemporaneamente su due fronti: quello delle "insidie" comunitarie e quello delle grandi manovre che si stanno dispiegando nella Padania, dove si cerca di far rientrare dalla finestra della "devolution" l'aspirazione secessionistica uscita dalla porta dell'accordo elettorale siglato fra il Polo di Silvio Berlusconi e la Lega di Umberto Bossi. Con una aggravante, rispetto al passato.

La secessione, consacrata con i riti celtici consumati alle sorgenti del Po, delineava una separazione netta e, sotto molti aspetti, chiara: la Padania avrebbe divorziato dall'Italia, assumendosi, inevitabilmente, ciascuna delle parti la propria fetta di responsabilità. La "devolution", invece, prospetta un rischio ben piú grave per le regioni meridionali: la Padania si chiuderebbe nella torre d'avorio del suo atavico egoismo collettivo, ma continuerebbe ad avvantaggiarsi del controllo, pressocché incontrastato, sul "mercato unico nazionale" nato con la "conquista regia" del 1860, di cui parla un meridionalista della levatura di Guido Dorso. In altri termini, continuerà a imporre le sue merci in un Sud che produce poco piú del 10% di quel che consuma, senza - per giunta - dover far piú fronte ai doveri di "solidarietà" insiti nel fatto di essere parte di uno stato unitario.

La dice lunga, a questo proposito, la pretesa del presidente della regione Veneto, Giancarlo Galan, di trattenere il 66% del gettito fiscale raccolto nel territorio di propria pertinenza. E, ancor piú, parlano chiaro gli emendamenti presentati dalla Lega Nord alla legge finanziaria, secondo cui la percentuale da trattenere a livello regionale dovrebbe essere del 90%.

L'aspetto positivo di questa situazione, oggettivamente paradossale, è che, nonostante i precari giochi delle parti che troppo spesso caratterizzano (tra un ribaltone e l'altro) gli schieramenti politici della seconda repubblica, molti nodi sono fatalmente destivati ad arrivare, assai presto, al pettine.

Ha ragione da vendere il presidente della regione Puglia, Raffaele Fitto, quando dice che la prima minaccia da cui il Sud dovrà difendersi si chiama: federalismo fiscale. né ha torto il presidente della regione Campania, Antonio Bassolino, quando pone al governo lo stesso problema, di fronte a uno stato di fatto che imporrebbe alla giunta regionale di cui è a capo di rastrellare in Campania 4.900 miliardi aggiuntivi di tributi, a fronte dei 2.900 miliardi che il pugliese Fitto dovrebbe torchiare tra il Gargano e il Salento.

Fitto e Bassolino appartengono a coalizioni contrapposte: centro-destra il primo e centro-sinistra il secondo. E' sintomatico, tuttavia, che le loro posizioni appaiano oggettivamente convergenti. Entrambi mostrano evidenti segni di disagio. Il primo nei confronti delle giunte regionali del Nord amministrate dal Polo e della sempre piú imbarazzante alleanza con il movimento leghista. Il secondo nei confronti di un governo di centro-sinistra che deve, per necessità di cose, barcamenarsi fra le pretese del Nord che sta per sfuggirgli di mano e la timidissima difesa d'ufficio di un Sud che rischia sempre piú, abbandonato a sé stesso, di essere definitivamente schiacciato.

Naturalmente, nessuno dei due lo ammetterà. Ma, l'evidenza dei fatti non può essere negata. Cosí come non può essere negato il fondamento di una richiesta esplicitamente avanzata dal presidente della regione Calabria, Giuseppe Chiaravallotti: lo stato italiano è debitore nei confronti del Sud di un "risarcimento" storico, per aver dovuto il Mezzogiorno pagare per ben quattro volte, nell'ultimo secolo e mezzo, il prezzo dell'industrializzazione superprotetta dell'industria del Nord.

Ma, chi dovrà pretenderlo questo "risarcimento"? In tutto quanto sta avvenendo in questi mesi, infatti, il grande assente è proprio il Mezzogiorno: svuotato delle sue energie e privato della sua stessa identità, vive, da quanto ha dovuto rinunciare alla sua plurisecolare autonomia, una drammatica crisi di rappresentanza.

Le aspettative suscitate, nel centro-sinistra, dal manifesto di Eboli presentato da Antonio Bassolino prima delle elezioni regionali dell'aprile 2000, sono state rapidamente deluse: la strategia abbozzata in quel documento è stata frettolosamente archiviata. La strategia proposta dai leaders del centro-destra riuniti a Teano, nello stesso periodo, dall'altro canto, non s'è riuscito neppure a comprendere bene in che cosa consistesse. Un ex ministro leghista è andato a Napoli a spiegarla e ha parlato di tasse da ridurre, ma non per le imprese meridionali sopravvissute... Evidentemente, pensava a un nuovo modo per ingrassare imprese del Nord disposte ad aprire qualche filiale tra gli Abruzzi e la Sicilia.

Nonostante ciò, l'esigenza di individuare una strada per far ragionare il Sud sulle prospettive del proprio futuro si impone in maniera sempre piú stringente. I tempi, come ha detto il presidente della Confindustria, Antonio Damato, si fanno sempre piú stretti. Governo e opposizione, centro-sinistra e centro-destra hanno precisi e ineludibili doveri nei confronti di questa parte dell'Italia. Ma, il principale dovere lo ha il Sud verso sé stesso. Deve decidere che fare. E deve deciderlo presto. Prima che sia troppo tardi.


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