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Informazioni fornite dalla Assoc. Neoborbonica di Caserta |
A proposito del brigantaggio del Sud, stroncato in anni spietati dal Regno dItalia, OClery riporta voci di dibattiti parlamentari a Torino. Il deputato Ferrari, liberale, che nel novembre 1862 grida in aula: "Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. E possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente distrutta e non dai briganti" (Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito il 13 agosto 1861). OClery riferisce i dubbi di Massimo DAzeglio (non certo un reazionario) che nel 1861 si domanda come mai "al sud del Tronto" sono necessari "sessanta battaglioni e sembra non bastino": "Deve esserci stato qualche errore; e bisogna cangiare atti e principii e sapere dai Napoletani, una volta per tutte, se ci vogliono o no agli Italiani che, rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, credo non abbiamo diritto di dare delle archibugiate". Persino Nino Bixio, autore delleccidio di Bronte, nel 63 proclamò in Parlamento: "Un sistema di sangue è stato stabilito nel Mezzogiorno. Cè lItalia là, signori, e se volete che lItalia si compia, bisogna farla con la giustizia, e non con leffusione di sangue". OClery non manca di registrare giudizi internazionali sulla repressione. Disraeli, alla Camera dei Comuni, nel 1863: "Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle dei Meridione italiano. E vero che in un Paese glinsorti sono chiamati briganti e nellaltro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcunaltra differenza tra i due movimenti".
QClery fornisce alcune cifre. Tra il maggio 1861 e il febbraio 1863, lesercito italiano ha catturato "con le armi" e perciò fucilato 1038 rivoltosi; ne ha uccisi in combattimento 2.413; presi prigionieri 2.768. Inoltre; "Secondo Bonham, console inglese a Napoli, sistematicamente favorevole ai piemontesi, cerano almeno 20 mila prigionieri politici nelle carceri napoletane", ma secondo altre stime 80 mila. I piú - indovinate - in attesa di giudizio, o addirittura del primo interrogatorio, "senza sapere di cosa fossero accusati", in celle sovraffollate: testimonianza di Lord Henry Lennox, un turista di rango che nel 1863 visitò appunto le prigioni di Napoli.
Altro esempio: la politica finanziaria del neonato Regno dItalia. Non vi stupirà sapere che lItalia anche allora covava un deficit mostruoso. OClery fornisce dati precisi di bilancio. Ma basterà un suo dato: il deficit del Regno nel 1866 fu di 800 milioni di lire, "Cifra pari alla metà delle entrate della Gran Bretagna e lrlanda", ossia del Paese allora piú ricco dEuropa. Deficit coperto da "prestiti e ipoteche sui beni nazionali, vendita di beni demaniali e istituzione di monopoli", ovviamente coperti da stranieri, prodromo e causa della durevole dipendenza italiana da interessi finanziari estranei. "Altra grande risorsa fu la rapina ai danni della Chiesa", la confisca dei beni e degli ordini religiosi, "che nel solo 1867 fruttò 600 milioni". La condizione della Chiesa nel Regno viene cosí riassunta dal nostro irlandese: "Esilio e arresto di vescovi; proibizione di pubblicare le encicliche papali; detenzione di preti e sorveglianza della loro predicazione; soppressione di capitoli e benefici e incameramento dei beni; chiusura di seminari; leva obbligatoria per i seminaristi; rimozione delle immagini religiose sulle vie e divieto di processioni".
Se il lettore doggi troverà in questo riassunto qualche tratto anacronisticamente sovietico, non è tutto. Leggendo OClery, finirà per chiedersi se i cronici mali italiani che siamo abituati a considerare "retaggi borbonici" (ottusità amministrativa, inefficienza e improvvisazione, centralismo autoritario) o persino "fascisti" (tracotanza guerrafondaia) non sarebbero invece da ribattezzare savoiardi o piemontesi. Lenorme deficit del regno, scrive OClery, è dovuto alle spese per mantenere "il piú grande esercito dEuropa" e formare "una marina imponente per numero e qualità", nel tentativo di "recitare il ruolo di grande potenza". Quel costoso esercito fú come noto sconfitto dagli austriaci a Custoza, per linsipienza dell"eroe" Lamarmora (ma anche Garibaldi, che proclamò di prendere Monaco "in quindici giorni", fu bloccato in Trentino da pochi jaeger). Lenorme flotta corazzata subí a Lissa la nota umiliante sconfitta, contro navi di legno.
Poteva mancare il ricorso alliniqua pressione fiscale? Non mancò. "Nel Regno delle Due Sicilie la tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866, sotto il nuovo regime, le tasse erano salite fino a 28 franchi a testa, il doppio di quanto pagava l"oppresso" popolo napoletano prima che Garibaldi venisse a liberarlo".
La tassa sul macinato, bersaglio polemico dei patrioti mazziniani quando lapplicava il governo pontificio, "fú piú che raddoppiata ed estesa a tutte le granaglie, perfino alle castagne". Causa la fiscalità, vi stupirà sapere che fu necessario organizzare "la lotta allevasione"? Fu organizzata, e manu militari. I contribuenti in arretrato subivano "perquisizioni domiciliari" e durante queste "visite", che evidentemente duravano giorni e notti, avevano lobbligo di cedere ai soldati "i letti migliori" nelle loro case. Ciò non impedí che il Regno restasse sempre in pericolo dinsolvenza. Tanto che i titoli del debito pubblico italiano "si vendono a 33 punti sotto il loro valore nominale", al contrario del debito napoletano; che "fino al 1866 era cosí solido, che i suoi titoli si ponevano al disopra del nominale". Si dirà il prezzo fu alto, ma almeno il Sud fu raggiunto dalla modernità, i piemontesi portarono unamministrazione piú razionale; saranno stati ottusi, ma erano incorruttibili No. "La contabilità pubblica si trovava in condizione spaventosa, ordini di pagamento non autorizzati apparivano continuamente nei registri della Corte dei Conti", e il caos favoriva "malversazioni di ogni genere".
OClery cita: "Nel 1865 il ricevitore generale delle imposte a Palermo fuggi con 70 mila franchi; a Torino fu scoperta una stamperia di tagliandi del debito pubblico e un impiegato delle Finanze, processato per ciò fu assolto ...Lanno 1866 portò alla luce le frodi degli impiegati incaricati della vendita dei beni ecclesiastici; a Napoli un alto ufficiale di polizia fu arrestato per essersi appropriato di fondi destinati ai pubblici servizi. Casi simili se ne possono citare allinfinito", conclude OClery: Ma almeno, uno stato militaresco, mise ordine nel disordine pubblico del Meridione? Stroncò la mafia? Serafico, OClery dà la parola alla Guida della Sicilia una guida turistica per inglesi, scritta da un certo Murray, che metteva in guardia: "Le strade siciliane non sono piú sicure come al tempo del governo borbonico, il quale pur con tutti i suoi errori ebbe il merito di rendere le sue strade sicure come quelle del Nord Europa". Piacerebbe non crederci. Attribuire questi racconti allanimo papalino e "reazionario dello storico. Purtroppo, qualcosa lo impedisce. LItalia vista dagli occhi di OClery ci appare sinistramente familiare. Per noi lettori del Duemila, leffetto è un déjà vu.