PROGETTO MEDITERR@NEO
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Ai signori del Nord basta una foglia di basilico per sottrarre ai meridionali - oltre tutto il resto - anche il loro alimento piú caratteristico: la pizza. E' esattamente quello che è avvenuto quando, verso la fine del secolo scorso, la moglie di Umberto I, figlio di quel Re Galantuomo che nel 1860 aveva invaso e sottomesso con le armi il Meridione, impose il proprio nome a quella che ancora oggi si chiama, nostro malgrado, "pizza Margherita". E' giunto il momento di mettere i puntini sulle "i" anche per quanto riguarda le tradizioni gastronomiche dei meridionali e, dopo il crollo del muro di Berlino, deve crollare anche il nome - a dir poco abusivo - della pizza di cui si appropriò indebitamente la Regina sabauda.
No, dunque, alla "pizza Margherita". E, se proprio un nome la piú popolare delle pizze napoletane deve avere, questo non può essere altri che quello di... Ferdinando. La pizza, nata come piatto povero concepito per togliere la fame a chi aveva molto appetito e poco danaro, a dire il vero, faticò non poco ad arrivare sulla mensa dei Borbone, che nel 1734, con il futuro Carlo III, avevano ricostituito l'autonomia del Regno meridionale, ma quando vi giunse nessuno la potè piú rimuovere: divenne, assieme agli spaghetti al pomodoro, la bandiera della dieta incontrastata di Napoli quando mangia.
Ad aprire alla pizza le porte della Reggia fu Ferdinando IV, il popolare Re Nasone, il cui cuore pulsava all'unisono con quello dei ceti sociali piú deboli delle Due Sicilie: quei ceti che, a seconda della convenienza e dei pregiudizi ideologici, gli storici hanno indicato, di volta in volta, con l'appellativo di "plebe" e "popolo", di "lazzaroni" e "proletariato". Si racconta che il buon Ferdinando, nel 1778, incuriosito dal modo in cui veniva presentata la pizza dai napoletani, sorprendendo tutti, si fece condurre in una pizzeria della salita S.Teresa. Fra le altre, scelse quella gestita alla buona da un certo Antonio Testa: 'Ntuono, cosí il pizzaiolo veniva chiamato da amici e clienti, si sentí onorato di far assaggiare all'illustre ospite diversi tipi di pizza che lasciarono il Re, a dir poco, entusiasta.
La pizza che, piú di ogni altra, suscitò l'approvazione reale, fu una molto semplice, condita con pomodoro e mozzarella. Ferdinando, carattere aperto, ne parlò con tutti, a corte e fuori. L'accoglienza che alla pizza fu riservata da sua moglie, Maria Carolina d'Asburgo, per la verità, pare sia stata piuttosto fredda. A suo giudizio, è stato detto, la pizza non poteva essere considerata un piatto reale. Una tesi, questa, diametralmente opposta rispetto a quella del diretto interessato: il Re. Costui, infatti, non si arrese e, dopo il primo assaggio, sembra sia stato visto girare per le pizzerie napoletane fino al 1825, l'anno della sua morte.
La frequentazione e l'approvazione reali fecero la fortuna di 'Ntuono, il pizzaiolo di S.Teresa che, dopo la prima e inaspettata visita dell'anticonformistico erede del torno fondato da Ruggero il Normanno sette secoli prima, vide il suo piccolo e stretto locale quotidianamente affollato di nobili e dame, di cavalieri e aristocratici smaniosi di imitare, anche per quanto riguardava le abitudini gastronomiche, il Sovrano: la pizza, in altri termini, era stata promossa a pieni voti ed era diventata un piazzo nazionale, apprezzato da ricchi e poveri, da blasonati e popolani, da borghesi e operai.
Il trionfo della pizza, tuttavia, doveva toccare ancora vertici piú elevati. Fu Ferdinando II, nipote del vecchio Re Nasone, a disporre - si era nel 1832 - che nel parco della Reggia di Capodimonte fosse costruito un grande forno a legna. A realizzare l'opera fu chiamato Domenico Testa, figlio dell'ormai anziano 'Ntuono, il primo pizzaiolo prediletto dai Borbone. In un regime dove, checchè se ne voglia dire, Re e popolo costituivano un binomio indissolubile, non dovette poi destare parecchio stupore il fatto che, una volta messo in funzione il forno, il parco reale fu invaso in ogni stagioneb da instancabili mangiatori di pizza. In piedi o seduti, sui verdi prati circostanti la Reggia, i napoletani gustavano quel prelibato alimento, dopo aver piegato la pizza in quattro, come un foglio di carta.
A questo punto, giunge la famosa foglia di basilico che il pizzaiolo chiamato "Naso 'e cane", per compiacere la tetra Regina Margherita, che lo aveva convocato presso la corte sabauda, occasionalmente di passaggio a Napoli, avrebbe messo sulla pizza con pomodoro e mozzarella che, un secolo prima, aveva tanto entusiasmato Ferdinando IV di Borbone. Da quel momento, cosí come sui libri e i "mass media" veniva distorta e banalizzata la storia di un Regno che aveva retto per quasi un millennio le sorti delle Due Sicilie, parimenti sui "menu" delle pizzerie la piú famosa delle pizze napoletane prendeva il nome della nuora di Vittorio Emanuele II: un abuso bello e buono. Anzi, visto che si parla di personaggi reali, una... usurpazione.
Ma, non è mai troppo tardi per rimettere le cose al loro posto. Nei rapporti fra il Nord e il Sud dell'Italia, cosí come sui "menu" delle pizzerie di Napoli e di quelle distribuite in mezzo mondo sulle orme dei quasi 20 milioni di italiani meridionali costretti ad abbandonare la propria terra, dall'unità fino ai nostri giorni. Allora, questa è la consegna: cancellare il nome di Margherita da tutte le pizzerie e sostituirlo con quello, ben piú meritato e appropriato, di Ferdinando. Chi sa che Napoli e il Meridione italiano possano avere, proprio ribattezzando la pizza, una loro prima (profumata e gustosissima) rivincita...
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